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La memoria è lo scriba dell’anima (Aristotele)

La memoria è lo scriba dell’anima (Aristotele)

La memoria è una delle cose imprescindibili che caratterizzano il genere umano.

L’uomo, infatti, non può fare a meno di essa. È anche vero però che la memoria non può a sua volta fare a meno dell’emozione. Non a caso in questi ultimi tempi si parla di intelligenza emotiva, quasi ad indicare l’inestricabile intreccio tra ragione e sentimento che caratterizza il nostro pensare. Sappiamo benissimo che tanto più forte è l’impatto emozionale di un fatto tanto più facile è che si imprima nella nostra mente. In questo senso la frase di Aristotele suggella in pieno tale rapporto.

Vorrei a questo proposito fare con voi, cari lettori, un piccolo gioco di memoria e di emozione personale.

Alle recenti elezioni sono andato a votare nella scuola elementare vicino alla mia abitazione. Nell’entrare nell’edificio ho visto in bella mostra un oggetto che mi ha fatto emozionare: un banco vecchio, di quelli fatti tutti in legno, con il ripiano inclinato, in un unico blocco a due posti. Nella parte superiore al ripiano orizzontale, una piccola fascia orizzontale con un buco, in cui vi era un contenitore a cono di ceramica bianca.

La mia memoria è volata indietro di quasi sessant’anni. Prima elementare. Il mio banco era identico a quello, e il primo giorno di scuola portai in dotazione, oltre a matita e gomma, anche penna, inchiostro, calamaio e carta assorbente. Per quel primo anno si scriveva ancora intingendo il pennino nell’inchiostro che veniva versato nel piccolo contenitore bianco a cono rovesciato.

Dall’anno successivo cambiarono i banchi e si passò alle penne stilografiche con il serbatoio ricaricabile.

Tornando a quel primo anno, avevo come insegnante una giovanissima maestra, di nome Franca. Continuo a vederla molto spesso in giro. Non so perché, ma un mesetto fa, di colpo, nel nostro ennesimo incontro, mi ha ricordato un episodio personale di quel primo anno. Mi ha detto che un giorno, di ritorno da scuola, andai trafelato da mia madre dicendole:
“Mamma, la maestra ha detto una brutta parola!”

“E qual è questa parola?”, ha risposto preoccupata mia madre.
“Ha detto ‘Quel disgraziato di Pinocchio!”.

Ora, lasciando perdere l’interessante osservazione che a quei tempi dentro casa mia – e anche in casa di altri – si educasse ad avere una forte moderazione nei termini da utilizzare, è estremamente interessante notare come questo simpatico episodio, che io peraltro non ricordavo affatto, sia rimasto impresso nella memoria della mia maestra, al punto da rammentarmelo decenni dopo.

Ma il gioco di rimandi non è finito qui. Franca ha una figlia che ho conosciuto qualche anno fa. Quando la vidi la prima volta ebbi un sussulto: era esattamente identica alla giovane maestra della prima elementare. Unica differenza: ora non la vedevo più dal basso in alto e non mi sembrava più altissima come a quei tempi.

Ecco, a proposito di figli esattamente uguali ai genitori, la memoria mi riporta a questa struggente poesia di Vivian Lamarque, con cui chiudo il gioco dei rimandi:

      CARA DANIELA

“Cara Daniela, scrivendo

poco fa una emme un po’

gobbuta come facevi tu

ti ho vista con la penna

in mano, con i calzettoni

al ginocchio, ultima di noi

tutte a passare al nylon (non volevi

eri speciale), prima di tutte noi

a scendere all’Ade. Daniela,

i tuoi bambini piccoli sono cresciuti

ma non oso guardarli perché dicono

che una è uguale a te, uguale,

mi fa troppo male.”

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