La mia vera casa è il palcoscenico. Là so esattamente come muovermi, cosa fare. Nella vita sono uno sfollato. (Eduardo De Filippo)

Di Eduardo De Filippo, dei suoi fratelli Titina e Peppino, e del padre Eduardo Scarpetta sono recentemente usciti due film molto belli – “Qui rido io”, di Mario Martone e “I fratelli De Filippo” di Sergio Rubini –  che ne hanno evidenziato la straordinaria vita che ha attraversato quasi tutto il Novecento. Una vita interamente dedicata al teatro.

Ma non è di questo che intendo parlare, quanto del rapporto tra il lavoro e la qualità della vita. I grandi stravolgimenti degli ultimi anni, hanno reso il lavoro sempre più instabile, frenetico, spersonalizzante e talvolta con livelli di stress inauditi.

È notizia di questi giorni che decine di migliaia di persone stanno volontariamente licenziandosi in Italia dal loro lavoro, alla ricerca di una qualità della vita – e del lavoro medesimo – meno frustrante e più a misura d’uomo. Non sono rari i casi di ritorni a borghi abbandonati e a lavori fatti in campagna o, comunque, immersi nella natura.

Questa nuova sensibilità dovrebbe far riflettere la nostra classe politica, assieme anche a quella imprenditoriale. Il profitto a tutti i costi non deve essere il solo punto di riferimento. Si deve ripensare un mondo nuovo in cui lavoro, casa e ambiente debbano vivere in armonia. Si dovrebbe prendere ad esempio Adriano Olivetti e la sua straordinaria azione in un processo analogo nella parte centrale del secolo scorso.

Solo così si cercherà di avere – riprendendo il termine desolante di Eduardo – meno persone sfollate. Nel lavoro e nella vita.

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