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I ragazzi del liceo “San Benedetto” sul treno della memoria. Le testimonianze di ritorno da  Auschwitz
I ragazzi dell'Istituto San Benedetto ad Auschwitz

I ragazzi del liceo “San Benedetto” sul treno della memoria. Le testimonianze di ritorno da Auschwitz

Una settimana intensa per tredici ragazzi del liceo conversanese

Conversano – È rientrato il 23 gennaio scorso dalla Polonia il gruppo di studenti e studentesse delle classi quinte del Liceo “San Benedetto” che ha preso parte al secondo Treno della Memoria. È stata una settimana intensa per i tredici ragazzi coinvolti e senza dubbio indelebile; un’esperienza profonda e toccante; un viaggio innanzitutto nelle coscienze. In quelle ancora vivide di chi Auschwitz l’ha vissuto, di chi in quell’inferno è morto. E nelle proprie di coscienze, talora assopite dalle tiepide case, dal cibo caldo, dai visi amici. Nelle coscienze collettive, perché ricordare sia sempre accompagnato dall’esercizio dell’agire.
Ed è stato un ricordo agito quello di questi giovani, che, fra le strade innevate e le gelide baracche del lager più infame della storia, hanno ripercorso i passi e rivisto gli oggetti – e i pezzi – di quelle quotidiane vite sgretolate, indegne di essere vissute; di quelle morti finalmente degne di essere scolpite, incise sui muri della nostra spesso corta memoria, della nostra incosciente collettività. Tredici adolescenti a rappresentare la buona sorte da riportare a casa, il messaggio di cui farsi ora portavoce con compagni e adulti. Perché, come Primo Levi ha giustamente sottolineato: “È avvenuto, quindi può accadere di nuovo: questo è il nocciolo di quanto abbiamo da dire.”

Ecco allora alcune testimonianze:
Polonia, 16-22 gennaio 2023

Eravamo in tanti, tantissimi e abbiamo fatto tutti il percorso della memoria, quello che ogni anno porta milioni di persone ad Auschwitz-Birkenau.
Solo alla fine del percorso ho capito che ci accomunava un’unica domanda, quella alla quale non sapremo mai rispondere: perché? Com’è stato possibile?
Quando cammini dentro un lager, non cerchi tuttavia risposte, quasi non ci pensi più. Qui capisci che una risposta, che una ragione non c’è.
Immaginavo l’ingresso di Auschwitz molto più grande e, quando siamo arrivati, mi è sembrato strano che attraverso quell’entrata fossero passati milioni di persone.
Guardiamo la neve, gli uffici moderni ed eleganti dei nazisti e sembra tutto normale. Un male normale, un posto banale.
Ci guardiamo intorno e abbiamo la sensazione di stare in un museo; cerchiamo di capire il più possibile, di portare a casa un pezzo più grande di Storia. Ma vediamo capelli, occhiali, valigie, scarpe e scarpette. Piccoli pezzi ammassati come se non avessero mai avuto un proprietario, oggetti quasi da esposizione, come se non ci fossero mai state delle vite dentro, vite esposte e poi fatte a pezzi.
E poi vediamo le celle sotterranee buie e nere della prigionia e delle torture.
E infine vediamo i forni crematori… Strette barelle che eliminavano definitivamente esseri umani.
Qui si fonda la storia personale con quella documentata, la storia viva delle persone morte che è diventata fonte per i testi di Storia. I revisionisti vogliono negarle entrambe cercando di sovrapporle e di trovare i punti di discordanza tra le due. Ma i capelli ci sono, le celle ci sono, i forni ci sono…
Pensavo che Auschwitz mi avrebbe impressionato di più rispetto a Birkenau, ma è stato il contrario: forse per la vastità, per le latrine, per i posti di guardia sopraelevati, per i vagoni, per i binari che entrano nel campo e lo attraversano tutto. A Birkenau abbiamo camminato tantissimo. Non immaginavo fosse così grande.
Per noi ragazzi Auschwitz e Birkenau sono stati uniti dal grande libro dei nomi di coloro che qui sono morti: da questo libro ad Auschwitz ognuno di noi ha scelto un nome di un prigioniero a caso e lo ha scritto su una fascetta di stoffa; a Birkenau abbiamo collocato tutte le fascette su una lapide e abbiamo acceso dei cerini, quasi per restituire l’identità loro sottratta.
Questa è stata l’ultima tappa di un’esperienza che nella vita bisogna fare: siamo partiti dal ghetto di Cracovia; siamo passati per la fabbrica di Schindler, dove più di mille ebrei sono stati salvati da un solo Giusto uomo; siamo arrivati in un luogo non-luogo che lascerà sicuramente un segno profondo dentro di noi.
Per questo non bisogna ricordare solo per un fine storico. Tutti sanno cos’è la Shoah, ma sapere non è coscienza. Ho pensato che mi piacerebbe recarmi nei luoghi che abbiamo visitato con un negazionista e augurargli di arrivare alla verità, quella che noi ragazzi abbiamo letto sui libri, visto nei documentari e ora toccato con mano ad Auschwitz-Birkenau.
Tanti lager sono ancora oggi da riportare alla vita ma dai rovi, dalle spine e dalla neve. Arriverà una Primavera della giustizia e della libertà non ancora sbocciata per tutti i popoli e che molti Paesi sottomessi dal dolore e dalla guerra attendono ancora?
Auschwitz e i suoi compagni di morte non ci vivono più, ma il nostro non è ancora un pianeta completamente sgombro da questi vividi fantasmi. Il nostro mondo è ancora alla ricerca del rispetto dei diritti di tutti, dovunque si nasca e in qualunque condizione sociale si cresca.
Si dice che tocchi a noi giovani raggiungere questo obiettivo, ma mi chiedo per quanto ancora continueremo a fare sempre memoria del passato e a guardare con indifferenza le Shoah del presente.
Non riusciremo forse a capire fino in fondo il senso di quello che abbiamo visto, ma è necessario vederlo.
Elena Rattile, classe VBES

Silenzio. Sento solo un assordante silenzio che percorre il mio corpo e la mia anima. Tramuto in forza la mia debolezza, percepisco che anche gli alberi si piegano in pianto al cospetto dell’orrore.
Ed io che credevo d’esser tranquilla. Lacrime di ghiaccio rigano il mio volto, s’infrangono lente, fragili. Come pietre sgretolatesi sulle tombe… Come il brivido di frustrante raccapriccio che ti colpisce nel momento dell’agire, immobilizzandoti, non lasciandoti fuggire.
Sì, un solo e unico brivido percorre ripetutamente il mio corpo. Frustante è la sensazione di sentirsi coperti e scoperti allo stesso tempo, nudi al cospetto di così forti emozioni e sensazioni. Coperti, chiusi, rinchiusi nel frangente che genera angoscia, panico.
Quale crudeltà disarmante ha spinto la mente umana a progettare tutto ciò?
Raccolgo in uno scatto gli ultimi pezzi della loro esistenza, che racchiudono storie di uomini e donne come noi, di sogni infranti, di speranze fallite e di vuoti eterni. Raccolgo loro testimonianze, provo ad immedesimarmi e al sol pensiero… crollo. Non sono degna di toccare con mano tutto ciò, è così puro e sacro questo posto che anche le parole stentano ad uscire dalla mia bocca. Lacrime, solo lacrime percorrono il mio viso e la mia anima.
Cerco di metabolizzare quanto successo e di accogliere ogni singola emozione e sensazione, cerco di portare con me la frase “chi salva una vita, salva il mondo”, una frase senza tempo. Un tempo silente, solitario, insolito, che con cupo sguardo non guarda nessuno. Un tempo che divide, che resta immobile nella nostra cieca corsa. Fragili domande affannano questo vuoto carico di distanze. Mi serve ora tempo per metabolizzare il tempo successo e il sempiterno scordato muto dramma di un tempo che fu, che è sempre stato qui.
Angelica Colucci, classe VCSU

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