Riceviamo e pubblichiamo un intervento del movimento politico Quark
Finalmente è campagna elettorale.
E ancor prima di iniziare abbiamo assistito all’indecoroso teatrino dei veti sui candidati al Consiglio
Regionale da parte del candidato presidente Antonio Decaro. Un fatto grave, non una fisiologica
dialettica politica da fase pre-elettorale. Piuttosto che teatro di beghe politiche e personali, le
campagne elettorali devono essere definite dai programmi. Dalle visioni di presente e futuro che
definiscono le forze politiche che si candidano a guidare la nostra regione. Dunque, confidiamo che
le settimane che ci separano dal voto possano essere dedicate alla costruzione e alla discussione di
una proposta politica.
Non possiamo non riconoscere la solida leadership di Decaro all’interno del campo progressista,
il suo consenso e il fatto che la sua scelta come candidato alla presidenza sia ampiamente condivisa
tra le forze politiche. Tuttavia, si permetta un appunto: un presidente di Regione per definizione
non può avere “piena libertà”. Per almeno tre motivi. In primis, perché non governa da solo, ma di
concerto con una giunta regionale. In secondo luogo perché il nostro sistema democratico prevede
che debba dar conto a un consiglio regionale che gli garantisca la maggioranza in virtù della
rappresentanza delle cittadine e dei cittadini. Infine, l’ultimo “vincolo” è il programma elettorale
che lo lega appunto agli elettori e alle elettrici che accordano la fiducia alla coalizione di cui è
rappresentante, tramite il voto. Programma che deve spiegare qual è la Puglia che si vuole provare
a costruire.. Del resto, vogliamo votare un candidato politico e la sua proposta, non acclamare un
monarca.
Abbiamo apprezzato il riferimento di Antonio Decaro all’esigenza di discontinuità. Si tratta di
una parola dal significato potente, a maggior ragione se in relazione alle politiche che sinora hanno
caratterizzato la regione. Ma la discontinuità non sta nel chiedere a due ex governatori di non
candidarsi al Consiglio Regionale. La discontinuità sta nel prendere atto che molte scelte cruciali
per il futuro del nostro territorio rischiano di essere dannose, soprattutto nel lungo periodo. La
discontinuità che chiediamo e auspichiamo riguarda innanzitutto le scelte di sviluppo economico:
in primo luogo basta con la devozione al turismo. La Puglia non deve ambire a diventare un parco
giochi per ricchi stranieri, non deve puntare su settori retti dal lavoro povero, non deve favorire
fenomeni che stanno già danneggiando la popolazione locale costretta a subire l’aggravarsi
dell’emergenza abitativa, insieme allo svilimento delle identità e tradizioni locali, ormai votate a
una spettacolarizzazione che soddisfi le aspettative turistiche. La nostra economia deve
diversificarsi, deve valorizzare tutte le aspirazioni e le competenze che si creano, di tutti i settori.
Non neghiamo che negli ultimi anni la Puglia e il Mezzogiorno abbiano comunque compiuto passi
in avanti in termini di innovazione, ma questi devono essere considerati il perno della crescita,
vanno orientati in senso inclusivo, vanno consolidati e valorizzati, non trattati come settori di serie
B rispetto all’unica religione della presunta “vocazione territoriale” turistica.
La Puglia che immaginiamo non produce solo orecchiette fatte a mano, e di certo non spaccia
per artigianali quelle industriali. La Puglia che immaginiamo progetta e produce ricerca scientifica
di alto livello, protesi per persone con disabilità, case accoglienti ed efficienti per famiglie in
difficoltà economiche, componenti per automobili più sicure e meno inquinanti, cibo e
abbigliamento sostenibili, non legati allo sfruttamento selvaggio del territorio e di chi lavora. Non
neghiamo i passi in avanti degli ultimi anni, ma siamo preoccupati dalle mille contraddizioni che li
caratterizzano, che li rallentano, che rischiano di vanificare gran parte degli sforzi compiuti e dei
progressi ottenuti.
Gli ultimi dati ISTAT, che hanno avuto ampia eco sulle testate giornalistiche, hanno denunciato
un trend demografico estremamente negativo per la regione: in un solo anno la Puglia ha perso più
di 17.000 persone, e la maggior parte sono giovani emigrati per motivi di studio e di lavoro. Oggi
l’immigrazione giovanile non riguarda più solo i piccoli comuni delle aree interne, ma anche la
dorsale delle grandi città (Foggia, Bari, Brindisi, Lecce e Taranto). L’indice di natalità non se la passa
meglio: nel 2024 si sono registrati 1,16 figli per donna, un valore inferiore alla media nazionale
dell’1,18. Morale della favola: il trend migratorio – mosso soprattutto dai e dalle giovani – è
destinato a crescere. Chi resta, invece, ha difficoltà a costruire una famiglia. I motivi sono tanto
semplici quanto complessi nella loro gestione: bisogna lavorare sul trinomio lavoro – salario
dignitoso – casa per invertire il trend. È necessario costruire un’economia che non lasci nessuno
indietro, in grado di rispondere all’offerta di lavoro nei diversi settori, così da trattenere chi
altrimenti è costretto a partire. È fondamentale garantire uno stipendio che possa competere con
quelli delle regioni centro-settentrionali e dell’Estero. Inoltre, la casa deve tornare a essere
considerata un bene di prima necessità: il mercato immobiliare ha visto un’impennata dei prezzi,
ormai inaccessibili, delle nuove abitazioni. Un mercato che ha favorito grandi concentrazioni di
ricchezza, condannando alla precarietà abitativa larga parte dei nostri territori e delle persone.
Al contempo, la domanda turistica di alloggi ha aggravato la situazione, con la diffusione fuori
controllo di affitti a breve termine e B&B. Trovare casa diventa sempre più difficile specialmente
per le fasce più esposte come studenti e studentesse, giovani lavoratori e lavoratrici e nuclei
familiari. Ancora, lavoro – salario – casa: secondo noi il futuro della Puglia passa per questi tre punti.
La discontinuità è poi necessaria anche nel metodo politico in senso stretto: basta con
l’incentivo al trasformismo, basta con questa pratica di favorire i cambi di casacca opportunistici.
Negli ultimi anni, Antonio Decaro e buona parte del gruppo dirigente pugliese del centro-sinistra
hanno “flirtato”, nei vari Comuni della città metropolitana, con ex esponenti politici di
centrodestra, quando non di destra e basta, ripuliti attraverso il bagno del “civismo” (si veda il caso
di Conversano). Questa dinamica è stata il perno fondante del cosiddetto “partito degli
amministratori”, un partito-non-partito dove l’unica cosa che conta non è l’identità politica o la
proposta programmatica, ma il consenso elettorale (cioè i voti) che è possibile aggregare attorno al
“condottiero” di turno.
Non abbiamo bisogno di forze politiche senza identità, tenute in piedi esclusivamente da interessi e desideri di ascesa personale, da leadership singole, o da convenienti accordi. La sinistra deve puntare innanzitutto sulle persone che, da sempre, credono in valori identitari e vogliono tradurli in scelte amministrative. Sulle persone che la politica la fanno anche lontano dagli appuntamenti elettorali. Sulle realtà politiche (e non solo) locali che – radicate nel territorio – conoscono i bisogni e le necessità delle comunità. Sulle persone che dal basso e con enorme fatica provano a riportare la politica al centro della vita quotidiana. Il partito degli amministratori deve sciogliersi per sempre, perché non abbiamo bisogno di forze politiche senza
identità tenute in piedi solo da ammucchiate post-ideologiche.
QUARK