Piazza Carmine, quando 50 anni fa la squadra di Pallamano la trasformò in luogo di incontro e partecipazione

Quello di Piazza Carmine è il tipico esempio di quanto uno spazio centrale della città possa comprendere gli usi più disparati fino a diventare, in questo caso, un vero e proprio campo di pallamano. E se solo pensassimo che tutto ciò è successo per davvero cinquant’anni fa, nei primi anni ’70, nella piazza che in questi giorni è diventata un cantiere per la sua trasformazione da triste parcheggio di auto in luogo di socializzazione, ci accorgeremmo di quanto sia necessario guardare ad ogni cambiamento e innovazione con un occhio più benevolo.

Il video e le foto (gentile concessione di Mario Daniele, uno dei protagonisti di quella vicenda) mostrano in tutta la sua bellezza indimenticabili momenti di condivisione di una nascente passione, quella per la Pallamano, che vedeva la partecipazione di centinaia di persone a protezione del “rettangolo di gioco” per la pratica agonistica di uno sport che prevedeva l’uso delle mani, anziché quello classico dei piedi. A cui tutti eravamo abituati.

E così su un “terreno di gioco” per niente agevole, i conversanesi cominciarono ad amare uno sport nuovo e lo fecero recandosi in quella piazza a sostegno dei pionieri che mai avrebbero immaginato di diventare coloro che, nel tempo, avrebbero consentito di raggiungere traguardi prestigiosi, tra scudetti e coppa Italia, come si usa ancora dire nel gergo.

Piazza Carmine, la HC Conversano con il presidente della federazione di Pallamano Giuseppe Gentile (in alto a destra accanto al dirigente Vito Fanelli). Gentile era stato un triplista che alle olimpiadi del 1968 aveva superato per due volte il record mondiali durante una gara che, alla fine, lo vide medaglia di bronzo olimpica. Nella foto, tra Pino Fanelli e Mario Daniele, il presidente della squadra Raffaele Corcione

Ma il rito della partita in piazza, tra auto che continuavano a girare intorno al cordone dei tifosi e persone che correvano a messa dopo aver sbirciato un pò troppo le azioni spettacolari offerte dagli atleti, segnò in maniera indelebile sia il futuro “roseo” della Pallamano e di tutto il movimento creatosi nei successivi 50 anni, che di Piazza Carmine. Un luogo che viene ricordato per quanto offrì 50 anni fa e per quanto ha offerto, tristemente, dopo quella straordinaria parentesi di partecipazione: una specie di cimitero delle auto parcheggiate più o meno ordinatamente su buche tanto profonde quanto riempite di bitume. Un luogo inguardabile. Un “non luogo”.

La squadra dell’ACR con i dirigenti Mimì Roscino, Tarcisio Longobardi, Vito Intartaglia e Cristoforo Liuzzi (sponsor) e Ninì D’Aloia

Piazza Carmine oggi è un cantiere. L’impresa che sta eseguendo i lavori dovrà consegnarlo alla comunità tra sei mesi/otto mesi, possibilmente con le caratteristiche di luogo di incontro e socializzazione di persone in carne ed ossa. E doverosamente con gli stessi alberi a contornare un perimetro di un’area da riconquistare all’uso e fruizione pubblica.

Il capitano Pino Fanelli in una immagine diventata iconica

Gli atleti-amici che non avrebbero mai immaginato 50 anni fa di essere i pionieri di quella che è diventata una delle più belle favole della città (la pratica dello sport chiamato Pallamano), non avrebbero mai potuto nemmeno immaginare che quel campo di gioco “improvvisato” si trasformasse nel luogo più congeniale per socializzare e condividere una passione. Anche per le gesta di atleti-amici che, incuranti della natura del “terreno di gioco”, si elevavano fino al cielo (almeno così ci sembrava) per sfondare la porta avversaria.

La riqualificazione di Piazza Carmine, più correttamente Piazza A. Moro, dovrà prevedere un riconoscimento ufficiale a tutto il movimento della Pallamano, a quei pionieri (come non ricordare Gino Laruccia o il compianto Raffaele Corcione o, ancora, tutti coloro che fondarono l’altra compagine conversanese dell’ACR?) che “inconsapevolmente” dettero vita ad una favola e alla liberazione, se pur per qualche ora, di quella piazza da auto e ingorghi?
Ogni trasformazione urbanistica determina cambi di abitudini della comunità. In questi cambi, però, riconoscere la funzione di quello sport e di quegli amici-atleti è un dovere della comunità.

Troviamo il modo e la maniera per far rimanere indelebile il segno di quei momenti in quella che sarà la nuova piazza. Lo meritano i protagonisti che furono gli atleti ma tutte quelle persone che non fecero mancare il proprio sostegno. La piazza cambierà il suo volto ma la sua storia non va dimenticata.

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