Per chi non riesce, per una sua posizione, a lottare; per chi non è capace di sacrificarsi abbastanza devotamente a un compito; per chi non sa formulare, davanti al proprio destino, una propria preghiera, saranno eternamente ammonitrici queste parole, che dicono un destino e sono una preghiera: – Noi siamo soli. Soli come il Beduino nel deserto. Bisogna che ci copriamo il viso, che ci stringiamo nei mantelli e che ci gettiamo a testa bassa nell’uragano – e sempre, incessantemente – fino alla nostra ultima goccia d’acqua, fino all’ultimo battito del nostro cuore. Quando moriremo, avremo questa consolazione: di aver fatto della strada e di aver navigato nel Grande.
(Antonia Pozzi, poetessa)
Quest’anno il periodo di quaresima si sovrappone al periodo di confinamento cui la pandemia ci costringe. Diventa inevitabile fare riferimento al deserto, che pur essendo uno scenario di assenza di vita, finisce con l’avere una forte carica simbolica legata alla riflessione ed alla riscossa, nel momento in cui si fa ritorno nella terra dei viventi.
Il riferimento al deserto ha una fortissima rilevanza biblica. Quarant’anni dovette passare il popolo eletto nel deserto prima di giungere alla Terra Promessa. Quaranta giorni passò Gesù nel deserto in pieno digiuno e tentato da Satana.
Mi si consenta un aneddoto personale. Quando vado in giro per i grandi musei, scommetto sempre di imbattermi, almeno una volta, in un quadro di san Girolamo. E quasi sempre vinco questa scommessa, ad indicare quanto evocativa sia stata la sua scelta di eremitaggio, al punto da ispirare centinaia di artisti. E difatti tali opere fanno sistematicamente riferimento al periodo di due anni che egli passò volontariamente in un deserto siriano, da anacoreta
Da matematico non posso non rilevare il collegamento col deserto del numero quaranta. Quarant’anni dell’Esodo, quaranta giorni di Gesù, quaranta giorni della quaresima, quaranta giorni della quarantena dei nostri tempi pandemici.
Antonia Pozzi è stata una poetessa dall’animo sensibilissimo, apprezzata da Eugenio Montale. Morì suicida a soli 26 anni, ma la sua vita non è passata invano. Le sue poesie e i suoi scritti lo testimoniano.
Il suo riferimento metaforico alla vita come una lunga e consapevole traversata del deserto ne è testimonianza. Ma questa traversata non deve essere subìta bensì lottata, nella consapevolezza della grandezza di questa avventura chiamata vita, e del fatto che debba sempre essere affrontata a testa alta.
E visto che il periodo passato nel deserto è un periodo propositivo e speranzoso di attesa, chiudo citando la parte finale di una sua poesia – “L’àncora” – a me particolarmente cara:
“Lenta nell’acqua oscura
del cuore – […]
lenta e sicura,
fino alle sabbie segrete giacenti
sul fondo dell’essere –
fida tenace, con i suoi tre bracci
lucenti
penetra l’àncora delle tue tre parole:
– Tu aspetta me -.”