Intervista a Vittoria Rutigliano, eclettica artista conversanese che ci racconta del suo lavoro e della sua passione per l’arte
Conversano – Un paio di gradini di pietra e si è subito accolti da un’atmosfera d’arte barocca in cui impera lo sguardo femminile, elemento che attrae e a cui, una volta catturati, non ci si sottrae. Dettagli ricercati si arrampicano sui volti e decorano occhi e spazi. Colori e contrasti decisi, dentro antiche cornici, si adagiano senza fatica sulle chiare pareti storiche: tutto è un armonioso contrasto che fonde antichità e innovazione con gratitudine dell’occhio dello spettatore. Pochi passi, un’ulteriore breve discesa, e lo scenario cambia di intensità e immagine, si fa più metropolitano e vago, più fitto e confuso, quasi sbiadisce nonostante i colori rimangano sempre bilanciati e protagonisti. È la galleria di Vittoria Rutigliano, artista conversanese che attraverso la tecnica del collage crea opere originali di forte identità e di grande impatto visivo.
Come è nata la passione per l’arte e in particolare per il collage?
La mia passione per l’arte nasce sin da piccola, ma il collage è una tecnica che avevo molto sottovalutato rispetto, ad esempio, alle tecniche della buona pittura ad olio, per me eccezionale. Il collage in realtà è nato dalla mia passione per la musica, e ringrazio Bach per questo, uno dei miei musicisti preferiti. Ho un passato da musicista piuttosto tormentato, e ad un certo punto della mia vita ho deciso di non studiare più musica con un insegnante ma di affrontare questo percorso da sola, con tutti i suoi limiti, visto che un preludio di Bach presuppone una preparazione pazzesca. Ho trascorso un mese ad esercitarmi al pianoforte senza successo, così ho strappato lo spartito, e per esorcizzare questa mia paura ho deciso di fissarlo su tela. Cosi è nato il collage. La mia prima produzione, infatti, durata un anno, include solo collages musicali. A me in realtà non piaceva, mi sembrava troppo casuale ed istintivo, ma un mio insegnante dell’Accademia delle Belle Arti mi ha incoraggiato a provare, ed è dal 2012 che mi occupo di collage. Ho studiato Scenografia e sette anni fa ho preso una specializzazione in Decorazione che mi è servita ad affinare le tecniche di grafica incisa, a migliorare nel disegno e ad equilibrare chiari e scuri. Devo dire che ho prodotto più ora che non in vent’anni di arte pittorica. In questo periodo, inoltre, sono tornata alla musica, e sto prendendo lezioni di violoncello.
Qual è il tuo rapporto con l’arte, ci sono artisti che ti hanno ispirato?
Musicalmente la mia principale ispirazione è Bach, e per tutto quello che creo ho bisogno di ascoltare musica, spaziando dalla classica al rock pesante e metallico. Sono molto legata all’arte classica, adoro Caravaggio, mi piace molto l’architettura, in particolare del periodo barocco, ma amo anche tutta la parte delle avanguardie, in particolar modo i dadaisti perché erano quelli che sperimentavano, decontestualizzavano e rimanipolavano tutto quello che è quotidiano. Amo anche tutta l’architettura degli inizi del Novecento, in particolare la Bauhaus.
Ricorrono spesso i volti femminili e il Tempo. C’è un filo conduttore nei tuoi lavori?
Il filo conduttore è l’immagine. Sono molto affascinata dal volto femminile, in particolare dallo sguardo, quindi amo il ritratto, ma non semplicemente il bel ritratto, perché il lavoro principale sui bei volti è quello di decontestualizzarli. La cosa che accomuna un po’ tutti i ritratti è la fissità dello sguardo, gli occhi devono dare la sensazione che è il quadro a guardarti e non viceversa. La fissità perenne, lo sguardo aggressivo, e talvolta inquietante, servono anche ad esprimere un giudizio morale negativo nei confronti di qualcuno. Trovo l’inquietudine una cosa molto bella. Gli orologi rappresentano lo scorrere del tempo, mi piace come forma, ha una sua simbologia. Quello che io cerco è qualcosa che va oltre i bei ritratti e le belle fotografie, qualcosa che non può essere fotografato e che comunque non esiste. Io ho sempre dipinto – arte figurativa, pittura astratta, acquerello – eppure non era mai convincente. Quando fai un collage devi prendere un’immagine di un giornale che non è tua, la devi decontestualizzare e le devi dare un nuovo contenuto, quindi è un lavoro continuo (ovviamente ringrazio i bravi fotografi) per cui la mia tecnica potrebbe definirsi anche un fotocollage.
Cosa colpisce maggiormente il pubblico?
La cosa che colpisce, e da cui io stessa sono stata colpita quando ho fatto il primo quadro, non è tanto l’immagine in sé quanto l’interazione tra cornice antica/vintage e le immagini assolutamente contemporanee. Vedevo che riassemblare il tutto funzionava benissimo, ed è stata la prima cosa che mi ha dato un certo impatto, così come lo dà al pubblico.
Dalla bellezza classica e ferma del volto femminile a quadri dall’apparente caos. Cosa rappresenta questa diversa serie?
Nei quadri più grandi rappresento la contemporaneità. Tutti questi quadri hanno come titolo Etude d’Arianne che è la colonna sonora francese di un bellissimo film, La voltapagine, di cui mi sono piaciute sia la musica che la storia molto graffiante, piena di immagini che scorrono, ed è per questo che la serie ha preso questo nome. Questa corrente è incentrata sul tema dell’immagine come inquinamento, bombardamento, e le immagini sono confuse per sminuire, graffiare e cancellare gli slogan pubblicitari, di cui io stessa sono dipendente e grande consumatrice, ma in modo bilanciato.
È difficile collocare le tue opere nel tessuto professionale contemporaneo?
Prima di aprire la galleria, nata grazie a Beppe, ho esposto in altri posti ma ho venduto pochissimo, tranne al Fitzcarraldo a Bari, un pub contenitore d’arte dove puoi esporre i tuoi lavori. Li ho tenuti per un anno, ho venduto poco ma alla fine il proprietario ha deciso di comprarli tutti. Quando fai mostre collettive o deleghi un gallerista o un curatore naturalmente non c’è mai il rapporto diretto con il pubblico. Quando, invece, l’artista è presente il rapporto con il pubblico è più intimo, si riesce a spiegare meglio l’opera e a convincerlo a comprare. Beppe mi ha spinto ad esporre nonostante la mia reticenza legata al genere un po’ forte, al fatto che Conversano non mi sembrava pronta, soprattutto perché manca quel bel turismo degli anni Ottanta. Infine, mi sono convinta anche perché prima tenevo i quadri a casa mia che veniva, quindi, aperta ad estranei per mostrare i lavori, mentre nella galleria il rapporto resta intimo ma non invasivo dei miei spazi quotidiani e familiari. Beppe poi è molto bravo a creare eventi e aggregazione, e devo dire che in estate – periodo migliore in cui la galleria resta aperta fino a tardi – ho venduto molto sia ai conversanesi che ai turisti.
Se nella tua galleria entrasse un giovane artista e ti chiedesse dei consigli, cosa gli diresti?
Prima di tutto gli direi di studiare tantissimo, perché studiare, soprattutto l’arte classica, è fondamentale. E prima di studiare l’opera dell’artista, gli consiglierei di studiare l’artista come uomo. Non è un caso, infatti, che gli artisti cui sono più legata sono quelli di cui ho potuto capire meglio la vita, che viene poi riflessa nelle loro opere. Bisogna guardare anche tanto nel contemporaneo, ma essere capace di distinguere quello che è davvero valido come contenuto, e per questo occorre fare uno studio approfondito dell’immagine. Quest’anno insegno Disegno e Storia del costume al Professionale e dico sempre alle ragazze di guardare le immagini sulle riviste, perché bisogna studiare tanto per dare un contenuto a quello che si fa. L’arte per me è un lavoro, ma se anche non dovessi guadagnare nulla da ciò che faccio, continuerei a farlo. In questo Beppe mi aiuta parecchio perché è molto più attento di me all’aspetto commerciale. In ogni caso, il mio è un lavoro che non cambierei mai, ti dà una libertà che ha certamente un prezzo perché non sai se guadagnerai o se esploderai come artista, ma ti senti libero e questo è già un grande affanno in meno.