“L’intelligenza Artificiale rischia di andare incontro a un terzo inverno…, per il fatto di non rispondere alle aspettative del mercato” (Daron Acemoglu)

Si sta parlando tantissimo di Intelligenza Artificiale. Il merito è da attribuire massimamente al salto qualitativo – qualcuno direbbe evolutivo – dei chatbot, ossia di quei programmi al computer che interagiscono in modo “intelligente” con gli utenti dando risposte sensate e articolate a qualsiasi domanda, con una capacità ultima, invero notevole, di fare sintesi mirabili e in tempo reale su tutto lo scibile.

Sembrerebbe essersi definitivamente avverato quanto postulato decenni fa dal grande matematico e cibernetico Alan Turing, quando, nel famoso test che prende il suo nome, disse che un computer sarebbe diventato intelligente se, rispondendo a qualsiasi domanda postagli da un interlocutore umano che non sa di stare interagendo con una macchina, questi non sarebbe in grado di capire di essere al cospetto di un software, pensando invece di interloquire con un altro essere umano.

Ora, a fronte di questa novità, sembra essersi avviata una corsa mondiale a finanziare ricerche e progetti di Intelligenza Artificiale, capaci di dare ritorni notevoli. 

Ma le prospettive sono davvero promettenti? Il lettore mi consenta di fare una digressione autobiografica.

Agli inizi degli anni Ottanta stavo completando i miei studi universitari in Informatica (che all’epoca si chiamava Scienza dell’informazione). Un giorno mi aggiravo tra i corridoi della facoltà e in bacheca vidi un avviso di un seminario sugli algoritmi scacchistici. Essendo uno scacchista presi subito nota e alla data fissata vi partecipai.

Il seminario fu molto interessante, alla fine del quale si chiese ai pochissimi presenti se qualcuno fosse interessato a partecipare a una riunione la cui idea era di mettere su un gruppo di ricerca sugli scacchi. Tra i proponenti vi erano anche docenti di altre facoltà, tra cui Fisica ed Economia e Commercio, in quest’ultimo caso nella figura del noto merceologo Giorgio Nebbia, che scoprii essere appassionato di scacchi.

Accettai e di lì a poco mi trovai immerso fino al collo negli studi di Intelligenza Artificiale, che avrei poi fatto convergere sul caso scacchi. Sarebbe stata quella la mia tesi di laurea. Non sapevo che avrei passato quasi tre anni prima di laurearmi, confidando sul fatto che all’epoca non vi erano problemi occupazionali per gli informatici.

Scoprii che l’Intelligenza Artificiale si occupava di tutto quanto fosse ritenuto “intelligente” e attirava studiosi da molte discipline: matematica, logica, neurofisiologia, psicologia cognitiva, epistemologia, economia dei sistemi complessi, e così via.

Ebbene, in sintesi, quei tre anni furono l’avventura intellettuale più entusiasmante della mia vita, purtroppo finita male dal punto della potenziale carriera universitaria perché il gruppo di ricerca non ebbe seguito per mancanza di fondi.

Devo a questo punto dire la cosa fondamentale: in quei tre anni arrivai alla conclusione che quello di cui mi stavo occupando era di estremo interesse da un punto di vista della ricerca pura, ma di poco impatto se si andavano a guardare i risultati pratici e le ricadute economiche. Insomma, ritenni che il futuro dell’informatica era in applicazioni meno “intelligenti”, ossia quelle in cui il computer elabora dati, tanti dati. Preconizzai, per esempio, un buon futuro nel campo dell’elaborazione dei dati geografici. E qualche anno dopo, infatti, comparvero i navigatori satellitari.

A metà degli anni Ottanta fu pubblicato un libro, “La quinta generazione – L’Intelligenza Artificiale e la sfida del Giappone al mondo dei computer “ in cui il coautore Edward Feigenbaum, uno degli studiosi di AI statunitensi più accreditati, metteva in guardia il suo Paese dal non farsi trovare impreparato di fronte al grande programma decennale che il Giappone stava lanciando, sulla quinta generazione dei computer, che non sarebbero più stati basati sull’elaborazione di dati, ma sull’elaborazione delle conoscenze. Insomma, computer “intelligenti”.

Essendo fresco di studi sul campo, feci una mia personale previsione: la Quinta Generazione sarebbe stata un flop mondiale.

Così fu, e sicuramente uno dei due inverni del crollo dei finanziamenti cui fa riferimento il premio Nobel per l’economia nella frase su citata è proprio quello relativo alla Quinta Generazione.

In conclusione, sebbene nessuno di noi conosca il futuro, ho voluto proporre un’autorevole voce di scetticismo rispetto ai potenziali sviluppi a seguito degli ultimi, sia pur notevoli, risultati raggiunti nell’Intelligenza Artificiale. Quando si è abbacinati dal sole estivo non bisogna mai dimenticarsi che un rigido inverno può sempre arrivare a bussare alle porte.

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