Noi siamo i pezzi della misteriosa partita a scacchi giocata da Dio. Egli ci sposta, ci ferma, ci respinge, poi ci getta…(Omar Khayyam)

Questa frase scritta dal poeta persiano Omar Khayyam, vissuto a cavallo tra l’XI e il XII secolo, è molto evocativa, ed è l’ennesima conferma del grande significato simbolico che il gioco degli scacchi ha nel rappresentare fatti della vita umana – in questo caso la vita stessa.

Ma non è questo l’argomento principale di cui vorrei scrivere in questo sassolino. Giorni addietro nel riportare questa frase – che conosco da anni a memoria – a una persona che doveva inserirla in un libro, ho cercato di cercare la fonte. Sapevo essere in origine una quartina. Ebbene, nelle ricerche fatte, non ho trovato la frase in questione in nessun testo né in Rete, ma mi sono imbattuto in diverse traduzioni della quartina, alcune delle quali abbastanza differenti da quella riportata.

E qui viene fuori la faccenda che tradurre è un po’ tradire. Soprattutto in poesia, ove certe sonorità, certi significati reconditi, per non parlare – laddove presenti – delle rime o della metrica, sono impossibili da riportare da una lingua all’altra senza una significativa perdita del contenuto originale. Se poi le due lingue sono di ceppi del tutto differenti, come in questo caso tra arabo e italiano, la libertà di azione del traduttore diventa più ampia.

Devo confessare a questo punto che anche io, nella frase citata, ho mutato un termine. Ho infatti sostituito “pezzi” là dove avevo letto “pedoni” perché avevo intuito che il traduttore non fosse uno scacchista.

Nella speranza di non aver tediato il lettore, chiudo con un ultimo rimando. In una sua poesia Borges fa riferimento proprio a questa quartina di Khayyam. Per ironia del caso la poesia si intitola “Scacchiera”, ma nel vedere a fronte il testo originale in spagnolo, mi sono avveduto di un errore marchiano del traduttore (e sto parlando dei “Meridiani” Mondadori). Il titolo avrebbe dovuto essere tradotto in “Scacchi”. Ah, le traduzioni!

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