“Molte sono le cose terribili, ma di tutte la più terribile è l’uomo” (Sofocle)
di Vito Fanizzi, (magistrato Corte d’Appello di Bari)
Gli arresti, quotidiani, avvenivano soprattutto all’alba, svegliando l’indagato e la sua famiglia, anche i bambini, mettendo a soqquadro la casa. Bisognava arrestare. “L’assegno delle sette del mattino”, disse qualcuno. Telecamere e giornalisti, amici di magistrati ed investigatori, attendevano l’uscita del malcapitato con le manette in bella mostra. Seguiva, qualche ora più tardi, l’immancabile conferenza stampa con quei magistrati ed investigatori alla ribalta, tronfi di certezze, e le foto segnaletiche degli arrestati esibite come trofei di caccia.
Non che tutto fosse ingiustificato. Qualche mese prima un “mariuolo” era stato sorpreso, a Milano, con una “mazzetta” di sette milioni di lire tra le mani. Ma la faccenda prese una piega diversa. I magistrati di tutt’Italia capirono che c’era un modo per raggiungere rapidamente la notorietà e cominciarono anche loro arrestare. Bisognava arrestare. Le fotografie di quei magistrati finirono sui rotocalchi. Su quegli arresti molti magistrati edificarono prestigiose carriere, anche in politica. “Il fattore che indusse i procuratori a crescere insieme al fenomeno fu probabilmente la vanitas, vale a dire la legittima soddisfazione che ciascuno di noi prova allorché si vede d’improvviso spinto sul proscenio e illuminato dai riflettori” (Sergio Romano).
La sera, all’ora di cena, la gente si pasceva dello spettacolo, compiaciuta. Di quegli anni resta, tra le altre, l’immagine sbiadita di un tranquillo signore di mezza età con gli schiavettoni ai polsi. Qel signore, allora, non ebbe la fortuna di Ilaria Salis; nessuno si indignò per quelle manette troppo pesanti; Enzo Carra è morto qualche mese fa dimenticato da tutti.
Sinistra, destra, leghisti, tutti convinti della bontà dell’operazione. Ci furono anche raffinate teorizzazioni. “Il linciaggio è la forma di giustizia nel senso più alto della parola” (Gianfranco Miglio). Alcuni di quegli indagati si suicidarono; ma qualcuno non ebbe dubbi o pietà neppure di fronte a quei tragici eventi. “Si vede che c’è ancora qualcuno che per la vergogna si uccide” (Gerardo D’Ambrosio). “Lo so che è una cosa spiacevole quella che sto per dire, ma è la verità: le conseguenze dei delitti ricadono su quelli che li commettono, non su coloro che li scoprono e li reprimono” (Piercamillo Davigo).
Era “Mani Pulite”. Pochi possono chiamarsi fuori da quella brutta piega. La stampa non fece bene il suo mestiere, con il suo appoggio incondizionato ai magistrati. L’opinione pubblica letteralmente spinse e sorresse quei magistrati, come nella foto simbolo di quella stagione. Il consenso raggiunse maggioranze “bulgare” e, si sa, la folla può diventare una bestia irrazionale e feroce. “Sembra di assistere ad una strana partita. A ogni arresto, fragorosi olè di entusiasmo si levano dall’arena metropolitana. Un tifo da stadio circonda l’inchiesta…” (Guido Anselmi). Francesco Saverio Borrelli, in una corrispondenza con il Professor Giovanni Fiandaca, teorizzò apertamente la necessità di correlarsi alla “sensibilità media del popolo in nome del quale la legge si applica”: “il pericolo di inquinamento, il pericolo di fuga, il pericolo di reiterazione dei delitti…devono ricevere concretezza dalla comune esperienza e dal comune modo di ragionare del cittadino medio”. Un obbrobrio, a pensarci bene.
C’è un’esperienza personale di quegli anni che voglio ricordare. Ero in udienza nella mia prima sede, a Potenza, e nell’aula entrò un avvocato che avevo già conosciuto e che, un mese prima, era stato messo in carcere per una vicenda societaria o bancaria non particolarmente allarmante, in un paesino vicino. In quell’aula che gli era stata familiare, quell’avvocato ora avanzava spaesato, smarrito; ricordo un accenno di claudicazione mai notata prima, sembrava che una malattia si fosse impossessata di lui. L’onda lunga di Mani Pulite era arrivata fino a quello sperduto capoluogo di provincia. Al giovane magistrato che pure, all’inizio, aveva fatto parte della “maggioranza bulgara”, quell’immagine insegnò che c’era un modo diverso di amministrare la giustizia.
Non ho poi saputo l’esito dell’indagine che toccò quell’avvocato. Probabilmente finì nel nulla, come la stragrande maggioranza dei procedimenti avviati in quella stagione. Di “Mani Pulite” resta l’eredità di una classe politica peggiore e l’amara constatazione che “Tangentopoli e Mafiacity hanno continuato a proliferare e ad espandersi con nuove modalità, nuove tecniche e nuove pericolosità per la nostra democrazia e per la nostra economia” (Giovanni Maria Flick).
È stato un piacere leggere questo articolo. Non credo aver mai letto scritti di magistrati, sull’argomento, con la obiettività e la serietà del nostro concittadino . Complimenti.
di magistrati