LEI, un film di Spike Jonze. Intelligenza artificiale o troppo umana?

Los Angeles. In un futuro non troppo lontano Theodore (Joaquin Phoenix), uomo solo e tormentato, si occupa di scrivere lettere per “analfabeti sentimentali”. Incapace di rifarsi una vita dopo la separazione dalla moglie, si divide tra lavoro, chat grottesche e divertenti video giochi. Un giorno decide di adottare un nuovo Operating System, una sofisticata intelligenza artificiale di nome Samantha, che gli faciliti il lavoro di archiviazione e gestione del computer. Tra i due si instaura un inatteso legame dai toni fortemente umani.

Futuristico ma decisamente attuale, Lei è un film che indaga le più comuni sensazioni umane attraverso la tecnologia che, più che ostacolo all’espressione dell’umanità, sembra farsi strumento di analisi dei suoi sensi all’apparenza perduti. Spike Jonze non sembra puntare il dito contro l’avanzamento tecnologico, ma quasi se ne serve come specchio dell’uomo. Con questo film il regista fa una riflessione crudele su quanto i principi primordiali e più banali dell’uomo siano regrediti, e non certo a causa della tecnologia, quanto piuttosto dell’incapacità dell’uomo di gestire le relazioni con il mondo e con i suoi stessi limiti. Se la tecnologia ha una colpa è solo quella di aver intorpidito i cinque sensi e velocizzato i tempi umani, rendendo l’uomo pigro. Sta sempre all’uomo, però, animale di intelligenza superiore, recuperarli senza farsi sopraffare. Ma tutto è lì comodamente a portata di mano, persino l’amore, tema centrale del film che porta con sé riferimenti ad ogni tipo di relazione. All’apparenza paradossale, l’amore che vivono il protagonista e il suo sistema operativo è autentico, puro, fisico e liquido al contempo, e in questa relazione i due si struggono e gioiscono non meno di due essere umani. Se poi il loro amore sia un’illusione o una proiezione non è dato sapere. Tuttavia, diventa totalizzante come ogni amore dovrebbe essere.
Immediate le critiche e i giudizi facili. Ma è troppo comodo puntare il dito contro la tecnologia. Se si provasse a capovolgere il punto di vista, qualche superficiale certezza potrebbe cadere. Si può facilmente  ridere di uno che parla con il suo OS. Eppure quanti parlano così intimamente con il proprio partner in carne ed ossa? Si può facilmente considerare ridicolo uno che fa l’amore con il suo OS. Eppure quanti provano una passione e un trasporto simili pur condividendo lo stesso letto? Si può facilmente provare pena per uno che esce la domenica col suo computer. Eppure quanti passano insieme domeniche così divertenti e spontanee? Fa sicuramente riflettere. “Troppo facile con un computer”, direbbe l’umano medio (forse senza riflettere). Quante scuse, però, si inventano gli umani per coprire l’incapacità di appagare bisogni semplici ed universali, per giustificare l’imbarazzo e la dis-abilità ad esprimere le più normali tra le emozioni. Quasi che il desiderio, la gelosia, la delusione, fossero solo ridicole bassezze rispetto al suo essere intellettualmente evoluto. E invece noi questo siamo: corpo e mente che hanno bisogno di essere egualmente nutriti (come cerca di fare persino Samantha quando affitta il suo biondo surrogato fisico). Sorprendentemente, il computer si rivela umano, mentre l’uomo si rivela limitato. E’ infatti emblematico che a far evolvere il protagonista, risvegliandogli ragione e sentimento, sia proprio un’intelligenza artificiale, quasi a voler dimostrare che occorre arrivare a limiti estremi per dare una rimescolata a corpo e cervello. Chi è davvero più intelligente tra i due? Cos’è reale e cosa artificiale? Cos’è spirito e cos’è materia? Il confine è sfumato e i terreni si fondono, non c’è più dicotomia tra res cogitans e res extensa. Reale, dopotutto, potrebbe essere una qualunque sensazione corporea, dovunque e comunque essa nasca. Artificiale potrebbe essere qualunque realtà che, invece, non stimoli più i sensi. Chi lo stabilisce? Ad ognuno la propria percezione delle cose, poiché tutto viene filtrato dalla personale capacità di sentire ed esperire. Senza corpo, però, non saremmo niente.
L’idea è molto bella, sebbene sorgano paragoni con altre pellicole di fantascienza (e non solo), ma gli spunti del film sono molteplici e personali. Indubbio è, però, che questo film parli di dramma umano, non senza poesia, avvalendosi di un’intelligenza artificiale solo per scavare più a fondo nell’intelligenza umana. Analisi, tra l’altro, espressa molto bene dall’onnipresenza scenica del bel protagonista Joaquin Phoenix che, tra le sue riflessioni iniziali, dice proprio “Forse non abbiamo il coraggio di amare”.

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