Ferragosto è considerato il giorno di vacanza per eccellenza. D’altro canto il nome stesso significa, decomposto, ferie di agosto. Chi ha la mia età ricorderà certo che all’epoca della nostra infanzia e adolescenza la scuola iniziava il 1° ottobre. Pertanto Ferragosto era anche il giro di boa delle vacanze, che avevano davanti a loro ancora un mese e mezzo di tempo prima di farci rituffare sui libri.
In questo Ferragosto, pensando a cosa scrivere in questa rubrica, mi sono imbattuto nella frase di Italo Calvino su riportata, in cui, contrariamente a tutti i canoni, si associa la vacanza al lavoro, o meglio, al lavorare.
Prima ancora di approfondirne l’analisi, mi si conceda una digressione personale. I miei genitori, entrambi di origine contadina, nella loro laboriosa vita non hanno mai conosciuto un giorno di vacanza, eccezion fatta per il viaggio di nozze a Pompei. Penso di poter dire che non sono stati un’eccezione rispetto alla loro generazione, che ha conosciuto la guerra, gli stenti del dopoguerra e, infine, il boom economico.
La frase di Calvino non si riferisce evidentemente a loro, anche se lavoravano sempre, bensì al fatto che esistono dei lavori che sono talmente creativi e gratificanti, che li si fa senza sforzo apparente, traendone grande diletto, come se si fosse in una situazione perenne di vacanza. In realtà, questo genere di situazione abbraccia per lo più lavori creativi, fatti da persone di vario genere, dagli artisti nei campi più disparati, agli scrittori, musicisti, giornalisti e così via. Questi eletti finiscono con l’effettuare il loro “lavoro” per tutta la vita, e se non lo facessero si sentirebbero persone finite.
Mi piace pensare – e a Ferragosto si possono fare queste riflessioni – che l’avanzare dell’Intelligenza Artificiale e della robotica possa essere di grande beneficio all’umanità, consentendo di demandare progressivamente alle macchine una parte sempre più consistente di mansioni lavorative, lasciando alle persone la possibilità di dedicarsi esclusivamente a “lavori” o lavoretti a loro graditi.
E sarebbe ancora più bello se si giungesse un giorno – a processo compiuto – a dire che “Lavorare stanca” è esclusivamente il titolo di un libro di poesie di Cesare Pavese.