Riflessioni in tema di separazione delle carriere dei giudici

di Vito Fanizzi (Magistrato Corte d’Appello di Bari)

L’articolo 104 della Costituzione è sostituito dal seguente: “Art. 104. – La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere ed è composta dai magistrati della carriera giudicante e della car- riera requirente. Il Consiglio superiore della magistratura giudicante e il Consiglio superiore della magistratura requirente sono presieduti dal Presidente della Repubblica”.

La norma che precede è parte del disegno di revisione costituzionale che il Governo ha presentato in materia di ordinamento giurisdizionale e che ha scatenato le polemiche di questi giorni. E’ scritto a chiare lettere che, a seguito della riforma, tutta la magistratura, anche quella requirente, conserverà le prerogative di indipendenza e di autonomia. Sorprende come, nei dibattiti televisivi serali e nelle accese contrapposizioni delle parti, siano quasi assenti i riferimenti all’oggetto della discussione, la norma costituzionale che dovrebbe disciplinare, con la forza che le è propria, lo status dei pubblici ministeri.

Si afferma che la modifica apre le porte ad una magistratura requirente sotto il controllo del potere esecutivo: non si spiega perché e come. Qualcuno ha chiesto polemicamente al Ministro della Giustizia di mettere per iscritto che questa conseguenza non ci sarà mai. Ebbene, oltre alla chiara lettera della nuova norma, questo è il testo della relazione che ha accompagnato la presentazione del testo alla Camera dei Deputati: “In continuità con la storia costituzionale italiana e con l’interpretazione della Corte Costituzionale, questo disegno di legge costituzionale conferma la compiuta assimilazione tra i magistrati del pubblico ministero e i giudici rispetto alle garanzie offerte dai principi di autonomia e indipendenza: si tratta di un assetto che qualunque ipotesi di riforma ordinamentale deve rispettare”.

La riforma appare coerente con i principi del giusto processo: “ogni processo si svolge nel contraddittorio delle parti, in condizioni di parità, davanti ad un giudice terzo ed imparziale” (art. 111 della Costituzione). Ed infatti si obietta che è difficile realizzare questa parità quando una delle parti, il pubblico ministero, ha studiato e si è formato con il giudice, ha partecipato e superato lo stesso concorso, qualche volta lavorato nello stesso ufficio, gomito a gomito. L’esito contrario è condizionato dall’esperienza e dalle capacità del giudice, che non sono scontate. Aggiungo un altro argomento. In ogni sede di Corte di Appello ci sono i Consigli Giudiziari, organismi collegiali che si occupano di ogni questione riguardante la carriera ed il dislocamento dei magistrati, riproducendo in parte e a livello locale le funzioni del Consiglio Superiore della Magistratura. Vi siedono sia pubblici ministeri, sia giudici. E’ terzo ed imparziale il giudice che si vede recapitare un’istanza di arresto da un pubblico ministero che siede o potrebbe sedere nel Consiglio Giudiziario o nel Consiglio Superiore della Magistratura che si occupa o si occuperà della carriera dello stesso giudice  ? 

Si ribatte che l’allontanamento dalla magistratura giudicante mette a rischio la “cultura della giurisdizione” della magistratura requirente. A dirlo, spesso, sono pubblici ministeri (specialisti di richieste di arresto “a strascico”) che, proprio con l’attuale situazione, sono la cosa più lontana da quella cultura che si possa immaginare. La “cultura della giurisdizione”, per i pubblici ministeri che vogliono, è nell’art. 27 della Costituzione, che sancisce la presunzione di non colpevolezza dell’imputato, o nell’art. 358 del Codice di Procedura Penale, che impone di svolgere accertamenti anche su fatti e circostanze a favore dell’indagato: norme che sono lì e che la riforma non tocca. 

Si afferma che il rischio è quello di creare un “super poliziotto”, ma questo, in un certo senso, è proprio il ruolo delineato dall’ordinamento per il Pubblico Ministero: “le funzioni di polizia giudiziaria sono svolte alla dipendenza e sotto la direzione dell’autorità giudiziaria” (art. 56 del codice di procedura penale). L’esperienza insegna che molti processi falliscono perché partono male, con indagini condotte in modo sbagliato. La separazione delle carriere non contraddice l’esigenza di una maggiore e specifica specializzazione del Pubblico Ministero.

Infine i dati relativi ad altri Stati: la separazione delle carriere esiste in Germania, in Austria, in Spagna, in Portogallo, in Svizzera, in Olanda….

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