di Vito Fanizzi (magistrato Corte d’Appello di Bari)
LA PIU’ GRANDE TRAGEDIA DEL XX SECOLO
Viviamo senza sentire sotto di noi il paese,
a dieci passi le nostre voci sono già belle e sparse
e dovunque ci sia spazio per quattro chiacchiere,
là ti ricordano il montanaro del Cremlino,
le sue tozze dita come vermi grassi,
come pezzi di ghisa le sue parole esatte,
se la ridono gli occhioni di blatta
e rilucono i gambali dei suoi stivali.
Attorno una masnada di gerarchi dal collo fino,
i favori di mezzi uomini sono il suo trastullo,
chi fischia, chi miagola, chi frigna,
lui solo spauracchia e picchia,
un decreto dopo l’altro elargisce come ferro di cavallo
a chi nell’inguine, a chi in fronte,
a chi nell’occhio o al sopracciglio…
I versi che precedono costarono la vita a Osip Mandel’stam, poeta russo morto nel 1937 in un gulag, prima che il suo corpo finisse in una fossa comune. Nadezda Mandel’stam, moglie di Osip, scrisse nelle sue memorie di aver “sempre invidiato Antigone – non colei che accompagnò il padre cieco, ma quella successiva che diede la vita per il diritto di seppellire il fratello. Il diritto di rendere l’ultimo tributo ai morti”.

In Russia, ciò che sembrava morto rivive.
Le parole esatte, le dita grassocce ed il sorriso sono gli stessi. Anche la corte deferente è la stessa: il portavoce del Presidente, il Ministro degli Esteri, la portavoce del Ministro degli Esteri, l’esuberante Consigliere della Sicurezza. Tutti educati alla menzogna nelle accademie dell’Unione Sovietica. D’altronde proprio il Presidente disse che la fine dell’Unione Sovietica era stata la più grande tragedia del XX secolo (suo padre lavorava per i sicari di Stalin, nella polizia segreta NKVD, lui proviene dal KGB). Come ferro di cavallo ha colpito il decreto che ha messo al bando Memorial, l’associazione nata per indagare i crimini del montanaro del Cremlino, il cui ritratto torna ad occhieggiare nelle strade di Russia. Come ferri di cavallo colpiscono le pallottole, le dosi di polonio, le bombe che fanno esplodere gli aerei nei cieli. Nuova Antigone, Lyudmila Navalnaya ha dovuto raggiungere la prigione siberiana dove era detenuto il figlio e trattare, protestare ed aspettare alcuni giorni, prima di averne la salma e poter celebrare il suo funerale; e tutti abbiamo visto il silenzio e la paura con la quale i cittadini hanno portato fiori sulla tomba di Aleksej Navalny.
Alla luce di ciò che sta accadendo in Ucraina, in Moldavia e in Georgia, risuonano le parole di un altro grande poeta, il polacco Czelaw Milosz, premio Nobel per la Letteratura nel 1980. In occasione di una visita in Italia, durante gli anni della glasnost e della perestrojka, ai ragazzi che lo circondavano sventolando le sue “Poesie” ed i suoi libri sul sogno europeo, disse: “No, non facciamoci illusioni: il destino dell’Europa Orientale è segnato da Yalta. Il rinnovamento gorbacioviano è una cosa seria, va preso in considerazione. Ma sentirsi autorizzati per questo motivo a sognare impossibili libertà, è follia”.

Nell’autunno scorso, negli stessi giorni, il Presidente tedesco Frank Walter Steinmeier inaugurava, a Dresda, la mostra dedicata a Caspar David Friedrich; il Presidente russo visitava una fabbrica di bombe, dove alcuni ingegneri gli spiegavano il funzionamento degli ordigni. Il primo stazionava davanti al “Viandante sul mare di nebbia”, il secondo calcolava quante infrastrutture civili del nemico quelle bombe avrebbero potuto distruggere. C’è un territorio della Russia, Kaliningrad, collocato tra la Polonia e la Lituania, annesso all’Unione Sovietica alla fine della seconda guerra mondiale. Era la splendida città tedesca di Konisberg: la città dove passeggiava Immanuel Kant, con tale puntualità che gli abitanti regolavano gli orologi alla sua uscita. Ora è un avamposto di missili e carri armati. Il Presidente Steinmeier non avanzerà mai alcuna rivendicazione su Kaliningrad né mai sobillerà al caos e ai disordini, a costo della guerra, i pochi tedeschi lì rimasti.

Forse proprio passeggiando tra le strade dell’attuale Kaliningrad, Kant elaborò la sua teoria sulla guerra: “La costituzione repubblicana ha anche la prospettiva del fine da noi desiderato, cioè della pace perpetua; ed eccone il motivo. Se si richiede il consenso dei cittadini per decidere se la guerra debba o non debba essere fatta, niente di più naturale del pensare che, dovendo far ricadere su di sé tutte le calamità della guerra, essi ci penseranno sopra a lungo prima di iniziare un gioco così malvagio. In una costituzione, invece, in cui il suddito non è cittadino e che quindi non è repubblicana, la guerra è la cosa più facile del mondo, perché il sovrano non è membro dello stato, ma ne è il proprietario e nulla perde dei suoi banchetti, delle sue cacce, castelli, feste a corte ecc. a causa della guerra, e la può quindi dichiarare come una specie di partita di piacere per cause insignificanti, lasciando al corpo diplomatico, sempre pronto a questo, il compito di giustificarla per salvare le apparenze” (I. Kant, Per la pace perpetua, II, 1).