Povere Creature

di Vito Fanizzi (magistrato Corte d’Appello di Bari)

Questa giusta causa ha le parole della poesia.

Walt Whitman dedicò alcuni versi ad un bambino che usciva ogni giorno, e il primo oggetto che incontrava, quello diventava. I primi lilla, l’erba, il vecchio ubriaco che incespicando tornava a casa, gli amici, i ragazzi attaccabrighe, le ragazzine tutte linde: parte di lui divenivano.

I suoi genitori, colui che l’aveva generato

e colei che l’aveva concepito nel suo seno e l’aveva messo alla luce,

a questo bambino avevano dato ben più di questo soltanto,

e a lui continuarono a dare ogni giorno, e divennero parte di lui.

La madre che a casa tranquilla le stoviglie ordinava,

apparecchiando la tavola,

la madre dalle gentili parole, linda la cuffia e la gonna,

un sano odore emanando dalla persona e dagli abiti,

il padre forte, autoritario, virile, scortese, collerico, ingiusto,

il pugno, l’urlo improvviso, il contratto a lungo discusso, l’astuta lusinga…

Ogni cosa diveniva.

Johnny Cash dedicò una canzone, Thirteen, ad un “ragazzo nato nell’anima della miseria”.

Non ho mani avuto un nome,

mi hanno dato solo un numero quando ero giovane,

ho un vento sfortunato che mi soffia alle spalle.

Nel 1968 Cash entrò nel carcere di Folsom e tenne un concerto memorabile, regalando due ore di gioia ai detenuti lì rinchiusi. Lui, che nel 1994 avrebbe cantato “la bestia che è in me, ingabbiata da sbarre fragili”, una vita segnata dall’alcool e dalla dipendenza da anfetamine e barbiturici, non poteva non sentire vicine le persone che lo applaudivano nella prigione di Folsom. Probabilmente avvertiva che qualche dettaglio della vita lo aveva salvato dallo stesso destino.

Nel 1965 Fabrizio De Andrè descrisse la sua città vecchia, affollata da prostitute, ladri ed assassini.

Se tu penserai,

se giudicherai

da buon borghese

li condannerai a cinquemila anni più le spese

ma se capirai,

se li cercherai fino in fondo

se non sono gigli

son pur sempre figli

vittime di questo mondo.

Dovremmo parlare anche con le parole della poesia del ragazzo che a Venezia ha ucciso la fidanzata che non voleva più vederlo, della madre che a Milano ha lasciato morire di inedia la figlioletta, della ragazza che a Parma ha seppellito i figli che aveva appena messo al mondo.

I poeti sono “maestri della verità, perché a loro è stata svelata la verità della condizione umana; istruiti dalle Muse, i poeti apprendono il limite del senso ed il senso del limite” (Paola Mittica). C’è altro oltre l’apparenza delle cose. C’è sempre la dignità di un uomo da tutelare.

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