Papa Francesco ci ha lasciato nel giorno di Pasquetta, in molti leggono questa coincidenza come un segnale perché è ritornato alla casa del padre, il giorno del lunedì dell’Angelo. Al di là dei segni, la scomparsa di Papa Francesco ha commosso e colpito trasversalmente sia credenti che non credenti. Ha insegnato l’umiltà e ha gridato la voce degli ultimi. Il suo grido di dolore sul genocidio di Gaza è rimasto inascoltato, soprattutto da Netanyahu che in queste ore ha addirittura cassato i saluti che si devono ad un capo dello Stato nel momento in cui lascia la vita terrena.
Non appena diffusa la notizia il nostro vescovo Giuseppe Favale ha rilasciato questa sua dichiarazione: ”Carissimi, il nostro Santo Padre Francesco ci ha lasciati per tornare a Dio. Avvertiamo tutti un dolore grande, sebbene la luce della fede ci fa guardare con speranza a questo momento, ben sapendo che con la morte “la vita non ci è tolta ma trasformata “. Papa Francesco è tra le braccia di Dio per ricevere la ricompensa promessa ai lavoratori della vigna del Signore. Ha vissuto e testimoniato il Vangelo, indicandoci la strada maestra della carità come segno della fedeltà alla vocazione cristiana. La preghiera accompagni quest’ora di sofferenza comune.”
Lo stesso vescovo ha convocato tutti i fedeli in Cattedrale per mercoledì 23 aprile alle20.30, dove presiederà la veglia di preghiera per l’amato Papa Francesco.
Ad alcune nostre concittadine e ad alcuni sacerdoti, abbiamo chiesto la propria opinione sul pontificato di Papa Francesco.
Don Sandro Ramirez, vicario generale della diocesi Conversano-Monopoli
Vedo il pontificato di papa Francesco fra il giubileo della misericordia e questo della speranza. Misericordia e speranza sono, a mio parere, le chiavi di lettura del suo alto magistero. Misericordia e speranza che ha saputo testimoniare con la sua vicinanza a tutti, in particolare agli ultimi e ai sofferenti. Misericordia e speranza: il suo testamento per noi cattolici e per tutti gli uomini di buona volontà. Chiniamo il capo davanti a questo grande papa: non potremo dimenticarlo!
dott.ssa Giuliana Ferretti
L’immagine di Papa Francesco è stata quella dal balcone di piazza San Pietro la sera che fu eletto. Lui dopo un primo momento di commozione volle essere benedetto dal popolo presente con un momento di silenzio. Questo è teologicamente molto importante è il capovolgimento di ogni altra esperienza di fede che noi siamo abituati ad avere. In questo senso io mi sento molto legata e soprattutto mi sento popolo che benedice, che vuole partecipare liturgicamente alle esperienze di fede. Di contro a questa richiesta del Papa avvenuta il giorno della sua elezione io avrei da ridire sugli atteggiamenti tenuti dai parroci di Conversano nei confronti di chi è disabile e non può essere valorizzato come avrebbe diritto.
Padre Enrico Monfrecola- Parroco della chiesa di Sant’Andrea
L’unica cosa che posso dire: Papa Francesco era una luce immersa nell’oscurità di questo mondo e ora si è spenta. Con speranza e fiducia aspettiamo che la luce possa al più presto riaccendersi. E’ una grande perdita per il mondo.
Rosanna Di Carlo, insegnante di francese
E ’stato un Papa che ha saputo attirare a sé l’attenzione di tutto il mondo e ha reso tangibile l’universalità della Chiesa.
Don Ciccio Aversa- Parroco della chiesa del Sacro Cuore
Un Papa fortemente radicato in Dio, profondamente ricco d’umanità. Ci ha lasciato invocando la pace e condannando il riarmo. Il suo ministero ha parlato con la forza dell’esempio con gesti quotidiani che lo hanno reso straordinario. Non ha usato i poveri come slogan ma li ha amati e messi al centro del ministero nella sua Chiesa. Ha ricordato a noi sacerdoti e a tutti l’essenziale eliminando inutili fronzoli. Credo fortemente che sia stato l’unico leader capace di esporsi coraggiosamente anche rischiando di risultare scomodo. Ha annunciato la bella notizia del Vangelo con giovialità, con un linguaggio immediato capace di arrivare a tutti. Va via un grande punto di riferimento, un faro. Uniamoci nella preghiera e nel suo ricordo.
Daniela Fortunato, insegnante di lettere
L’eredità di questo papa rivoluzionario è un pensiero improntato a quella ‘simplicitas’ che non è affatto carenza di impianto intellettuale, ma punto d’arrivo di una visione filosofica lungimirante: avere un pensiero mistico. Mi piace dirla con le sue parole “l’aura mistica non definisce mai i bordi, non completa il pensiero”, il pensiero dev’essere libero, aperto, incompleto, dialettico. Ecco, dunque, il vero magistero di questo grande Papa dallo stile pastorale, che ha criticato la Chiesa, chiusa in una autoreferenzialitá, indirizzandola ad una ‘oppositorum coincindentia’. Saremo in grado ora, orfani di una voce ragionevole e di un artigiano della pace, di conciliare fratture che, prima ancora che politiche, geografiche e religiose sono umane troppo umane, radicate nell’animo di ciascuno?!
Don Felice Di Palma, arciprete di Conversano
Credo di poter pronunciare anch’io il mio grazie per quello che Papà Francesco e’ stato per tutti noi. Grazie soprattutto per i piccoli gesti che hanno accompagnato il suo pontificato. Gesti diretti a tutti ma in particolare a coloro che avevano bisogno di essere accolti, compresi ed amati. Un grazie profondo perché ha amato la gente, quella gente che ha voluto incontrare sino alla fine in un giorno significativo: la Pasqua.
Grazie perché il Signore ci ha donato un Papa evangelicamente rivoluzionario: Chi sono io per giudicare.
Grazie per la sua testimonianza di semplicità, la sua attenzione agli ultimi, grazie per la capacità di parlare a tutti, grazie per il coraggio di andare controcorrente. Grazie Signore per averci donato un profeta per questo nostro tempo così pieno di tante contraddizioni.
Don Emilio Caputo, arciprete di Rutigliano
In questi giorni tutti ricordano il lato ambientalista del Papa o quello profetico. A me piace ricordare l’umanità di questo pontefice e soprattutto la felicità che trasmetteva. Spesso diceva che non può esistere un cristiano con il muso lungo. Ricordo quando ospite da Fazio raccontò una barzelletta che aveva lui come protagonista.
Don Giuseppe Goffredo-Parroco della Maris Stella
Il coraggio di chiamarsi Francesco: un pontificato che ha scelto gli ultimi. Il 13 marzo 2013 il mondo tratteneva il respiro in attesa del nuovo pontefice, quando dalla loggia di San Pietro si affacciò Jorge Mario Bergoglio, primo papa latinoamericano della storia, col primo gesto di rottura nel nome scelto: Francesco. Nessuno l’aveva mai fatto o aveva osato tanto. Un nome che non è rimasto simbolico, ma si è fatto programma di vita, stile pastorale, rivoluzione evangelica. Fin dall’inizio del suo pontificato, Papa Francesco ha messo al centro della sua missione coloro che spesso restano ai margini: i poveri, i migranti, gli esclusi, i dimenticati. Indimenticabile il primo viaggio apostolico a Lampedusa, isola diventata frontiera del dolore e della speranza. In quella celebrazione carica di profezia, il Papa denunciava con forza la “globalizzazione dell’indifferenza” che ci rende ciechi di fronte alla sofferenza altrui: “Ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro, non ci riguarda, non ci interessa, non è affare nostro!” Quelle parole non sono rimaste isolate. Anno dopo anno, il pontificato di Francesco ha assunto una direzione chiara e inequivocabile: riportare la Chiesa al cuore del Vangelo, dove i poveri non sono destinatari di carità episodica, ma protagonisti di un cambiamento radicale. Non gesti per lavarsi la coscienza, ma stili di vita da riscoprire. La Giornata Mondiale dei Poveri, istituita nel 2017, ne è un segno eloquente: la carità cristiana come incontro, condivisione e via di salvezza per tutti.
Anche nel suo magistero scritto, il nome di Francesco ha continuato a risuonare con forza. Le encicliche Laudato Si’ e Fratelli Tutti, entrambe firmate ad Assisi, rappresentano un’eredità viva e impegnativa per credenti e non credenti. Il primo testo ha riportato al centro la cura della casa comune, legando giustizia ambientale e sociale; il secondo ha rilanciato il sogno di una fraternità universale, al di là delle frontiere geografiche e ideologiche.
Il Giubileo della Misericordia del 2016 è stato un altro momento chiave, nel quale Papa Francesco ha voluto che il popolo cristiano riscoprisse le opere di misericordia come criterio per valutare la propria fedeltà evangelica. “Riscopriamo le opere di misericordia corporale: dare da mangiare agli affamati, dare da bere agli assetati, vestire gli ignudi, accogliere i forestieri, assistere gli ammalati, visitare i carcerati, seppellire i morti. E non dimentichiamo le opere di misericordia spirituale: consigliare i dubbiosi, insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori, consolare gli afflitti, perdonare le offese, sopportare pazientemente le persone moleste, pregare Dio per i vivi e per i morti” E’ qui che il Papa ha rivelato il volto più autentico della fede cristiana: non una dottrina da conservare, ma una vita da donare.
In un tempo di crisi, di cinismo e di chiusura, Papa Francesco ha saputo restituire al Vangelo la sua forza sovversiva, il suo grido di speranza, il suo sguardo di misericordia. Lo ha fatto con umorismo, semplicità e una tenacia profetica. Ha scelto di chiamarsi Francesco, ma soprattutto ha scelto di esserlo fino in fondo. E per questo, oggi, il mondo – credente o meno – gli deve un sincero grazie.