I fascisti non possono parlare?

“L’unica norma della Costituzione riferita al fascismo, afferma che è vietata la riorganizzazione; l’art. 21 della Costituzione afferma che tutti hanno il diritto di manifestare il proprio pensiero”

di Vito Fanizzi (magistrato Corte d’Appello di Bari)

Intervistato da Giovanni Floris qualche sera fa, il Rettore dell’Università per stranieri di Siena, Tomaso Montanari, ha sostanzialmente detto che, secondo la nostra Costituzione, i fascisti non possono parlare.

L’affermazione è falsa. L’unica norma della Costituzione riferita al fascismo, la dodicesima disposizione transitoria, afferma soltanto che è vietata la riorganizzazione del disciolto partito fascista, sotto qualsiasi forma. Ma l’art. 21 della stessa Costituzione afferma che tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto ed ogni altro mezzo di diffusione.

Nel 1952 entrò in vigore la cosiddetta legge Scelba, che ancora oggi prevede come reati l’apologia del fascismo (cioè l’esaltazione pubblica di  esponenti,  principi,  fatti o metodi del fascismo) e le manifestazioni fasciste (cioè il compimento, con parole, gesti o in  qualunque altro  modo, di manifestazioni pubbliche tipiche del disciolto partito fascista). La Corte Costituzionale ha più volte affermato che questi due reati presuppongono modalità di manifestazione tali da rendere effettivo e concreto il pericolo di riorganizzazione del Partito fascista, in questo modo contemperando le due norme costituzionali citate: la vocazione sicuramente antifascista del nostro ordinamento ed il principio della libertà di espressione.

In questo contesto, la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha anzitutto escluso la rilevanza penale delle manifestazioni fasciste caratterizzate solo da finalità di commemorazione. E’ successo appena tre mesi fa, quando le Sezioni Unite della Corte hanno escluso la punibilità di otto persone condannate in appello per un saluto fascista in occasione della commemorazione, il 29 aprile 2016, di alcune vittime del terrorismo degli anni ’70 e della lotta partigiana. Ma anche per le manifestazioni connotate dall’esaltazione dell’ideologia fascista, non basta “qualunque parola o gesto, anche il più innocuo, che ricordi comunque il regime fascista e gli uomini che lo impersonarono” (sono parole della Corte Costituzionale). Risale al 2017 l’archiviazione di un procedimento penale avviato nei confronti del titolare di una “spiaggia del Duce” a Chioggia, ornata da cartelli e scritte inneggianti a “Nonno Benito”.

Un discorso diverso riguarda le manifestazioni caratterizzate da un tipico profilo del fascismo, il cosiddetto “squadrismo”. La Corte di Cassazione, per esempio, ha ravvisato il reato in una vicenda, verificatasi proprio a Bari qualche anno fa, in cui alcuni esponenti di “Casa Pound” si schierarono contro un corteo antifascista, per poi passare all’aggressione ed al pestaggio, anche con armi.

Il discorso è complesso e articolato, non privo di contraddizioni. Qualche anno fa la giunta del comune di Affile, in provincia di Roma, ha eretto in un parco pubblico un sacrario dedicato al generale Rodolfo Graziani, ministro della difesa nazionale della Repubblica Sociale di Salò, macchiatosi di gravissimi crimini durante la campagna d’Africa. Le sentenze di condanna del Sindaco e di alcuni assessori, emesse dal Tribunale di Tivoli e dalla Corte di Appello di Roma, sono state annullate dalla Corte di Cassazione con una sentenza del 2020, che ha chiesto ai giudici di approfondire proprio l’aspetto del pericolo di ricostituzione del partito fascista connesso al sacrario.

Considerazioni finali
C’è da porsi qualche domanda sull’approssimazione dei dibattiti televisivi che, di solito la sera, orientano gli italiani. La grandezza della democrazia è anche nella preoccupazione per i sentimenti e le idee di coloro che le sputano addosso (ma il Mausoleo al Generale Graziani potevamo risparmiarcelo).

 

 

 

 

 

 

 





 

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