Con una festa di quartiere il professionista conversanese di ritorno dall’Emilia Romagna inaugura il suo nuovo studio professionale con una festa di comunità
Conversano – Domenica 3 settembre, in via Vitulli, Nicola Tricase, psicologo conversanese, ha aperto le porte della sua “Bottega dell’ascolto”. Nelle strade del centro storico di Conversano si è respirata aria di festa perché il traguardo raggiunto dal professionista è stato motivo di orgoglio per tutti i residenti del quartiere. Infatti, nel discorso inaugurale, dopo aver ringraziato la propria famiglia, ha anche ringraziato il vicino di casa che, a suo tempo, si preoccupò di cercare la facoltà di psicologia dove poi si iscrivendosi ha portato a termine il suo percorso di studio. E’ stato bello vedere via Vitulli piena di amici che hanno voluto testimoniare a Nicola Tricase la loro vicinanza e felicità per il nuovo percorso intrapreso.
Oggiconversano.it lo ha incontrato nei giorni successivi all’inaugurazione.
Perché hai chiamato il tuo studio Bottega dell’ascolto?
Nelle botteghe si crea, si costruisce, si manifesta un’idea, la si realizza e tutto ciò avviene in un ambiente accogliente, carico di ricordi, sogni…Ho sentito in modo naturale l’esigenza di chiamare il mio studio ” La Bottega dell’ascolto” in quanto lo considero un luogo intimo, accogliente in cui realizzare l’incontro tra due anime in cammino. Un luogo in cui concedersi la possibilità di fermarsi, respirare, stare in silenzio, piangere, sorridere, condividere il proprio stato d’animo in modo libero e senza il timore di essere giudicati.
Un luogo in cui l’altro possa sentirsi visto, compreso e, per questo ascoltato.
Un luogo in cui più che le risposte, contano le domande.
Un luogo in cui più che colpevolizzare gli altri, poter ascoltare se stessi.
Un luogo in cui più che sentirsi sbagliati, si ha.la possibilità di sentirsi un essere in evoluzione.
Un luogo in cui acquisire nuove consapevolezze in modo spontaneo e naturale.
La sera dell’inaugurazione hai affermato che bisognerebbe ascoltare il prossimo senza pregiudizi. Cosa vuol dire?
Vuol dire che, secondo me, il più delle volte entriamo in contatto con l’altro con una mente piena di aspettative, di condizionamenti, di pregiudizi. Da qui il bisogno di correggere i suoi comportamenti, bisogno che ci posiziona al di sopra di chi abbiamo di fronte e che ci spinge a voler cambiare l’altro. Dietro tutto ciò si nasconde la paura della diversità che altro non è che la paura di se stessi o, meglio ancora, paura di incontrare il nostro vero sé attraverso l’altro. Ancora, troppo spesso entriamo in contatto con l’altro, non perché ci interessa la sua storia, ma per poter raccontare la nostra storia. Per essere visti da qualcuno! Questo non vuol dire ascoltare! Per ascoltare l’altro, la mente deve diventare un foglio bianco in cui l’altro, nel raccontarsi, può “scrivere” il suo vissuto. Una mente accogliente perché è il cuore che dirige l’incontro.
In passato hai lavorato alla Caritas in Emilia Romagna. Di cosa ti occupavi?
Il mio incontro con il Centro di Ascolto della Caritas, a Cesena, nacque grazie alla bellissima esperienza come obiettore di coscienza, seguita da quella di responsabile dei volontari della mensa della Caritas Diocesana, poi come psico/operatore dell’ascolto all’interno del Centro di Ascolto della Caritas Diocesana. Per diversi anni ho gestito uno spazio dell’ascolto per donne sole e ragazze madri, ospiti di una delle strutture di accoglienza chiamata “Casa Emmanuel” della Caritas Diocesana . Mi sono occupato della formazione dei volontari sui temi dell’ascolto, della comunicazione, dell’essere volontari oltre che del fare i volontari. Ho avuto il piacere di occuparmi anche della formazione dei ragazzi del servizio civile, presenti nel Centro di Ascolto, sul tema: l’Altro, gli stereotipi e i pregiudizi.
Com’è cambiata la società rispetto a trent’anni fa quando hai iniziato la professione di psicologo?
Per essere precisi mi iscrissi alla Facoltà di Psicologia fine anno 1992 e iniziai la professione di psicologo nel 2006. Secondo me,la società è cambiata molto a discapito del nostro benessere bio-psico-sociale. La maggior parte delle persone vive una vita frenetica fatta perlopiù di lavoro, aspettative e prestazioni, questo perché è totalmente assorbita da una società basata sulla produzione compulsiva che richiama un consumo altrettanto compulsivo. La mente è continuamente tempestata da stimoli illusori, rumori di ogni tipo e richieste incalzanti a cui risponde in modo esageratamente reattivo. In una tale condizione è impossibile riuscire a fermarsi, prender fiato, porsi delle domande, sollevare dubbi. Ecco che l’uomo diventa un automa che obbedisce, un essere che smette di vedere la bellezza insita nella vita stessa, che non conosce il proprio diritto di essere felice e il dovere di essere responsabile anche della sua stessa felicità. Oggi pochi sono coloro che vivono in modo consapevole tutto quello che fanno: dal cibo al lavoro, dall’accudimento dei figli allo stile di vita, dal rispetto per la natura al rispetto per il prossimo. Sono persone coscienti che donano a se stessi il tempo del riposo, del silenzio, della riflessione; sono coloro che amano la vita e cercano un tempo e uno spazio per entrare in contatto con se stessi, con i propri ritmi e bisogni psicofisici, cercano il contatto con la natura perché da essa imparano a sentirsi parte di universo dove tutto si muove all’unisono. Sono coloro che si informano, sollevano dubbi, pongono domande e non si chiudono in verità assolute, pertanto riescono anche a dissentire di fronte a richieste e circostanze che non risuonano con la loro anima. Così facendo dicono sì alla vita.
Come immagini il futuro della società?
Vedo un futuro aperto, in cui c’è spazio per ogni tipo di diversità, di pensiero, di idee, di parole, di credo religioso. Uno spazio in cui poter respirare, vivere, esprimere il proprio Sé, condividere, confrontarsi, aiutarsi vicendevolmente. Vedo una società futura più consapevole, più responsabile, più pacifista e più amorevole. Una società in cui esistere, in modo consapevole e responsabile, come se fossimo in una grande famiglia: quella del Mondo.
Nella bottega ti occuperai anche di mindfulness, cos’è?
Noi esseri umani tutti i santi giorni viviamo come delle macchine programmate; un po’ come se fossimo degli elettrodomestici. Questo non ci permette di essere presenti a noi stessi, ascoltare il nostro corpo, i nostri bisogni psicofisici, le nostre emozioni e la nostra coscienza. La nostra mente è rivolta al nostro passato o al nostro futuro; il presente non c’è!
Grazie alla mindfulness entriamo in uno stato di presenza mentale.
Grazie alla mindfulness siamo aperti alla nostra esperienza per come si presenta, attimo dopo attimo; portando attenzione, con intenzione, al momento presente in modo non giudicante.
Grazie alla mindfulness non ci comportiamo più in modo reattivo, come se fossimo guidati da un pilota automatico, bensì in modo consapevole.
Grazie alla mindfulness impariamo a portare la nostra attenzione al nostro mondo interiore così come accade, senza reagire ad esso, accogliendo ciò che accade così come si manifesta.
La mindfulness, quindi, non è una tecnica per indurre rilassamento e piacevolezza, anche se molto spesso sia l’uno che l’altra accadono spontaneamente. All’interno della mia Bottega dell’ascolto praticherò la Mindfulness, ma applicando l’interessante Protocollo Mindfulness Psicosomatica, ideato dal dottor Nitamo Federico Montecucco, il cui strumento principale per portare l’attenzione al nostro corpo, in modo dolce e delicato, è il nostro respiro.
La sera del 3 settembre Nicola Tricase ha anche voluto ribadire che la sua bottega è “un luogo di sostegno emotivo e consapevolezza dove non si offriranno servizi di psicoterapia o diagnosi cliniche“. Lo psicologo si rende disponibile, per coloro che lo richiederanno, a fare un percorso di consapevolezza per esplorare le proprie emozioni in maniera approfondita.
Ha scelto l’ascolto in un’ epoca dove ognuno tende a vivere individualmente la propria vita, ha scelto di fare un passo di lato quando tutti sgomitano per apparire, ha scelto di ritornare ad esercitare la sua professione nei luoghi dove è nato e cresciuto e dove, probabilmente, i suoi vicini continueranno ad essere orgogliosi di lui.
Nicola Tricase, psicologo, ha fatto una scelta forte: continuare ad esercitare la propria professione all’interno della sue radici, in via Vitulli…”l’ultima strada” come ognuno di noi l’ha sempre chiamata.