“Lanterne al buio”, pubblicato il libro sulle esperienze dei volontari nelle terre del terremoto dell’Irpinia. Il viaggio del 1997 dell’Agesci di Conversano

Intervista a Lorenzo De Bellis all’epoca del terremoto del 1980 universitario di vent’anni che si unì all’Agesci

Conversano – E’ stato stampato pochi giorni un fa un piccolo volume curato da Gelsomino Del Guercio, giornalista che ha collaborato con testate come l’Espresso, e da Carmine Giannini, impiegato con la passione della scrittura, dal titolo “Lanterne nel buio”. In questo volume sono raccolte le esperienze dei volontari che andarono in Irpinia nei primi giorni successivi al sisma che devastò quelle zone. Abbiamo incontrato Lorenzo De Bellis, la cui esperienza è riportata nel libro, all’epoca studente universitario di vent’anni che si unì ai volontari dell’AGESCI, associazione di cui faceva parte, per andare a prestare il proprio servizio nelle aree terremotate

Lorenzo quanti anni avevi quando il sisma sconvolse l’Irpinia?
Sono nato nel 1960 ed avevo vent’anni. L’età giusta per lo spirito d’avventura con una certa incoscienza. Se avessi vent’anni oggi con molta probabilità mi sarei unito ai volontari del terremoto della Turchia e della Siria.

Quando ti sei unito ai soccorritori?
Sono stato un volontario, a me piace chiamarmi volontario, non avevo fatto nessun corso né avevo esperienze precedenti. Io ero studente Universitario fuori sede. Seguivo il corso di Laurea in Medicina Veterinaria presso l’Università degli Studi di Perugia. Il 24 novembre 1980 stavo tornando a casa in autostop, cosa di una normalità totale in quel momento storico. A Ponte San Giovanni (PG) mi ha caricato un signore che aveva la radio sintonizzata su una rete nazionale la quale ripetutamente annunciava la catastrofe che si era verificata Irpinia. Parlavano di paesi totalmente isolati, di migliaia di morti e della difficoltà nel prestare soccorso. Nel Primo pomeriggio sono arrivato a Rutigliano, sono andato a casa a lasciare lo zaino e poi sono uscito. Ho notato subito un certo fermento, tutte le associazioni si erano mobilitate a raccogliere viveri ed indumenti. Per caso ho incontrato un mio grande amico d’infanzia di nome Michele che mi ha riferito che presso l’AGESCI stavano selezionando dei volontari da inviare. Entrambi eravamo stati iscritti, ma al momento non frequentavamo più tale associazione. La sera ci siamo presentati alla riunione dell’AGESCI e siamo stati selezionati. La partenza: la successiva mattina. Noi la sera del 25 novembre eravamo già a Calabritto (AV) a montare le tende per poi diventare realmente operativi la mattina del 26 novembre 1980.

Che situazione hai trovato?
Fu difficoltoso raggiungere Calabritto da Avellino in quanto le strade erano dissestate e siamo scesi più volte dall’autobus che ci trasportava con pale e picconi per sistemare al meglio la strada. Comunque prima del tramonto siamo stati lasciati alla periferia del paese. Cosa abbiamo trovato: palazzi sventrati, muri perimetrali caduti, animali vaganti, il   centro storico ridotto in un ammasso di macerie, sui marciapiedi della strada principale c’erano centinaia di bare. Sotto un porticato del comune erano stati ammassati alla rifusa viveri ed indumenti. La situazione che trovammo si percepisce dalla lettura delle testimonianze inserite raccolte nei libri: Lanterne nel buio e Calabritto 1980: i nostri ricordi.

Sei tornato a Calabritto?
Si, sono tornato più volte.  Sono tornato la prima volta per caso. Ero con un amico che aveva da fare delle commissioni in Irpinia quando ad un certo punto ho visto l’indicazione stradale: Calabritto. Ho praticamente costretto quest’amico a deviare il suo itinerario di marcia per farmi rivedere quei posti a cui spero di aver donato un po’ di me, come tutti quelli che si sono recati li. Negli anni ho capito che quello che ho donato io è poca cosa a confronto di ciò che quella situazione mi ha insegnato. L’ Irpinia con il suo terremoto del 1980 non ha lasciato dentro di me dei ricordi indelebili, il sisma con i suoi dolori ha inciso nella mia personalità in formazione con la convinzione che la felicità è un bene che può svanire da un momento all’altro. La possibilità reale di poter perdere tutto e di dover ricominciare da zero è un’immagine che non mi ha mai abbandonato lungo il percorso della mia vita. Calabritto è sempre stata molto legata ai soccorritori ed all’AGESCI, infatti trentacinque anni dopo siamo stati premiati da due associazioni di Calabritto per tempestività dei soccorsi apportati.

Come è stato il processo di ricostruzione?
La ricostruzione si divide in due componenti: gli uomini e gli edifici. Dopo un episodio così grave la cosa più difficile è ricostruire la speranza degli uomini. Il centro storico è stato ricostruito in parte, le macerie non ci sono più, le abitazioni che si potevano recuperare sono state ricostruite, ma la popolazione è diminuita del 50%. Tutti a Calabritto dicono: “qui nulla è come prima”.

Diciassette anni dopo il terremoto, esattamente nel 1997, la Comunità capi del Conversano 1 si recò a Calabritto  constatando l’affetto di quella popolazione per l’Agesci; merito di persone che come Lorenzo lasciarono tutto per prestare soccorso alle popolazioni terremotate.
Di Calabritto piace ricordare Don Silvano, sacerdote milanese, che restò lì anche dopo il terremoto e scelse di alloggiare nelle baracche, non nella casa che la curia metteva a sua disposizione. Lo fece fino a quando tutti i cittadini tornarono ad avere una loro abitazione.

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