Il 1° settembre di cinquant’anni fa lo scacchista statunitense Bobby Fischer conquistò il titolo mondiale di scacchi contro il russo Boris Spasskij dopo un epico scontro di 21 partite tenutosi nella sperduta capitale islandese di Reykjavik, scelta come luogo neutro per l’incontro.
Tutto il mondo seguì il match, giorno per giorno, facendo esplodere la popolarità del gioco. Si era in piena guerra fredda, e, pertanto, questo scontro andò ben al di là del suo semplice significato sportivo.
La frase citata del genio americano mi fa pensare che sarebbe bello disputarsi i conflitti in modo figurato, attraverso una sfida sulla scacchiera, evitando così morte e distruzione, quali osserviamo nelle guerre che sono tuttora in atto nel mondo.
Gli scacchi sembrano un gioco ideale per un incontro alla pari. Si gioca allo scoperto, su una scacchiera di 64 caselle, con due formazioni esattamente identiche. La differenza la farà il giocatore più bravo, esclusivamente con le sue capacità.
Gli scacchi in Italia sono entrati da qualche anno anche nelle attività scolastiche, a seguito di progetti specifici sportivi.
Sviluppatosi nella forma attuale durante il Medioevo, è un gioco che ha tante positività. Ne cito alcune.
Il Re è il pezzo più importante (se lo si cattura si perde la partita) ma la Regina è il pezzo più forte. Tutti i pezzi hanno la loro specificità ma anche il piccolo Pedone, che è l’unico pezzo che può andare solo in avanti, può non solo dare scaccomatto, ma, qualora raggiunga l’ultima casella, si può miracolosamente trasformare in qualunque altro pezzo maggiore, Re escluso.
Tutti i pezzi hanno movimenti lineari ad eccezione del Cavallo che può saltare e che si muove ad elle, aprendo possibilità stravaganti e creative nelle strategie e nelle tattiche di gioco.
Gli scacchi hanno anche prestato tanti modi di dire figurati ormai consolidatisi nella nostra lingua: essere sotto scacco, arroccarsi, situazione di stallo, fare la mossa del cavallo, sono esempi in tal senso.
Per concludere e per dimenticare i riferimenti bellici, rifugiandoci in un sorriso liberatorio, non si può non citare questa frase, di un altro genio americano, questa volta nel campo umoristico, quale è Woody Allen: “A scuola mi esclusero dalla squadra di scacchi a causa della mia statura.”