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Di tutte le cose presenti in giardino, una quercia soprattutto attirava il mio sguardo. Mi era sempre piaciuta, quella quercia. L’avevo piantata io da bambina, e l’avevo vista crescere. La consideravo un’amica, e spesso le parlavo. (Murakami Haruki, racconto “Il mostriciattolo verde”)

Di tutte le cose presenti in giardino, una quercia soprattutto attirava il mio sguardo. Mi era sempre piaciuta, quella quercia. L’avevo piantata io da bambina, e l’avevo vista crescere. La consideravo un’amica, e spesso le parlavo. (Murakami Haruki, racconto “Il mostriciattolo verde”)

Una delle cose da inculcare con sempre maggior forza, soprattutto nelle nuove generazioni, è il rispetto per la natura. Tra i suoi beni più preziosi vi sono gli alberi. Essi sono dei serbatoi di ossigeno e delle sentinelle contro le alluvioni e le frane, nonché contro i rischi di desertificazione nelle zone in cui i fenomeni di caldo estremo si fanno sempre più frequenti.

Se questo sentimento di cura diventasse patrimonio comune non assisteremmo ai tragici incendi – per lo più di natura dolosa – che stanno devastando migliaia di ettari boschivi nelle regioni del nostro Sud e nelle due isole maggiori.

La furia devastatrice delle fiamme travolge tutto, provoca morti – di uomini e animali – e, soprattutto, provoca dei danni al territorio che saranno ripristinabili solo dopo decenni.

La letteratura a volte è capace come poche altre cose di descrivere situazioni critiche con un forte potere evocativo. Nel bel libro di Acheng “Il re degli alberi” è descritto un incendio provocato da una campagna di “rigenerazione” del territorio fatta dallo Stato, con una descrizione spaventosamente efficace:

“Quando le barriere contro il fuoco furono ultimate, il capo della brigata annunciò che avrebbero bruciato la montagna. […]

Il capo della brigata e alcuni vecchi boscaioli accesero le torce e correndo ai piedi della montagna appiccarono il fuoco ogni tre metri. […] Il vento alimentò le fiamme spingendole rapidamente verso la cima della montagna. […]

All’improvviso Sei artigli gridò con voce squillante: – Un muntiak! Un muntiak! -. Cercando tra le fiamme vidi sulla cima illuminata a giorno un minuscolo muntiak che si slanciava ora a destra ora a sinistra. A volte saltava disegnando un arco a mezz’aria e tornato a terra riprendeva a correre come una freccia. A questo punto anche la gente della brigata scorse il muntiak e lanciò un grido che salì in alto assieme all’aria calda e con questa si disperse. Le fiamme stavano per circondare la cima, il muntiak smise di correre, piegò lentamente le zampe anteriori e abbassò la testa. Trattenemmo il respiro. A un tratto si drizzò, la testa in linea con il collo, sollevò lentamente le zampe anteriori reggendosi su quelle di dietro, e prima che avessimo il tempo di capire, con un grande salto si slanciò nel fuoco come una freccia mandando scintille, e sparì. In un attimo il fuoco avvolse la cima. […] Mi resi conto in quel momento di non aver mai visto prima in vita mia un vero fuoco e una vera distruzione.”

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