Il 21 gennaio 1921 nasceva il Partito Comunista d’Italia con la famosa scissione di Livorno. L’intervento del presidente della Fondazione Di Vagno
Bari – Sono successe tante cose in questi ultimi giorni, al netto di quello che ci ha riservato il Parlamento: dove più che un confronto sugli interessi dell’Italia è sembrato andare in scena un regolamento di conti fra due protagonisti della politica contemporanea e tra due forze figlie di operazioni di “taglia e cuci” (consumate sempre all’insaputa dei cittadini elettori e destinate per lo più a marcare il consenso); più che sui grandi temi sui quali l’Italia è chiamata a misurarsi al cospetto dell’Europa, questa volta non matrigna, e sopratutto ai bisogni della gente che s’impoverisce di giorno in giorno.
Sono i giorni del Centenario della nascita del PCI; ma è stato anche quello triste della scomparsa di uno dei grandi leader di quel partito, Emanuele Macaluso; assieme all’anniversario della morte di Bettino Craxi: nei quali, perciò, è impossibile trattenere emozioni e rimpianti, risentimenti e nostalgia. Quell’insieme con i quali, per ricordare Nenni, non si fa politica, ma la cui lezione dovrebbe aiutare a correggere errori, a costruire visioni e speranze di futuro.
Amici e compagni del vecchio PCI barese, prima firma il caro e mai dimenticato Mimì Ranieri, hanno pubblicato un documento che trasuda di legittima passione: ma più che verso un futuro diverso di cui il Paese ha bisogno come l’aria, verso un passato che non c’è più ma che accomuna tutti noi che abbiamo militato in “quei” partiti; fra i quali il vecchio PSI, a sua volta assai poco rilevante nella politica dell’oggi.
Le sorti future della sinistra, temo, non convocano più noi come primi attori, essendo giunto il momento per le nostre generazioni di passare il testimone anche perchè troppe volte e in gran parte dimentichi del valore di quella parola “fraternità”, della quale forse per anni abbiamo abusato; mentre restano tutt’ora repressi (ma pronti a riemergere) contrasti, tatticismi ricorrenti e insopportabile settarismo, ideologismo esasperato, assieme alla tendenza a sopravvalutare il proprio “io”, pur di legittimare il suo esserci.
Tutt’ora rimpiango le riunioni presso la redazione de “Le Ragioni del Socialismo” dove Macaluso di tanto in tanto convocava compagni e amici, con il rituale rigoroso del vecchio PCI, ma anche il clima più libero e libertario dei socialisti. Ma presiedute sempre dalla passione che Lui riusciva a contagiare e dove si riusciva a dialogare, a immaginare, perché no!, anche a sognare.
Il tema di oggi, dunque, è ricercare le ragioni (ma non quelle tradite o da dimenticare) che, come scrivono i compagni, servono per “ritrovarsi a sinistra in un nuovo spazio di unità, dove la volontà di trasformare la realtà nel segno della libertà, dignità e giustizia sociale torni ad essere un traguardo possibile” e presentarlo alle nuove generazioni, perchè siano loro a gestirlo. Rinunciando, aggiungerei, a continuare a cercare, malinconicamente, revisioni o abiure ormai consegnate alla Storia, come testimoniano molti dei non pochi libri che si stanno pubblicando in questi giorni per ripercorrere la storia del PCI.
Quel traguardo va ricercato e ridefinito, con pazienza e umiltà, va ristudiato per il mondo del XXI secolo. E benché nel documento tutt’ora non lo si dica esplicitamente, quello spazio si chiama in un solo modo: Socialismo.