Edito da Rubettino il racconto di Mastroleo sulle iniziative della Fondazione. L’intervista di Antonio Galizia
Conversano – «Preferisco iniziare questa conversazione con un pensiero che mi ha inviato un autorevole amico cui ho inviato il libro: “È indispensabile, egli scrive, restaurare quella casa comune che è il futuro, non senza un progetto che affondi il proprio senso proprio […] in quei ‘Granai della Memoria’ che tu e la Fondazione non avete considerato stantii, ma avete […] posto a fondamento del futuro. Robuste radici a partire dalle quali trasformare la memoria in humus e linfa vitale per un nuovo ‘Rinascimento’: della politica, della società, dell’economia, della comunicazione. Quelle ali e quella innovazione ragionata, senza le quali la memoria rischia di rimanere prigioniera del passato e di non riuscire a seminare futuro».
L’avvocato Gianvito Mastroleo esordisce così nell’intervista che mi pregio di raccogliere sulla presentazione del suo libro «Abitare il futuro» edito da Rubettino, pubblicato in questi difficili giorni di pandemia. In questa nuova fatica, il presidente della Fondazione Di Vagno ripercorre come in un flashback i momenti salienti dell’attività svolta dal prestigioso istituto culturale, cui anche il sottoscritto ha dedicato suo tempo negli anni del rilancio (con la cura dei primi Quaderni della Fondazione), che con grande impegno è riuscito a rilanciare sulla ribalta culturale nazionale ed internazionale.
Presidente, la sua conversazione parte da un pensiero sulle radici e lancia un messaggio sul futuro di questa importante realtà culturale che la impegna da tanti anni.
«Penso che questo giudizio riassuma al meglio il significato di un lavoro ventennale che decisi di raccontare la scorsa estate con questo piccolo lavoro, al solo fine di “certificare” come sono nate le cose e soprattutto la passione collettiva dalla quale sono state sostenute. Perché si tratta di questo: passione collettiva, senza della quale nulla può essere preservato e custodito».
Nel libro evidenzia il rapporto particolare della città di Conversano con i libri.
«Ho ricordato nella conclusione del libro che uno dei conti Acquaviva d’Aragona, a cavallo tra il ‘400 e il ‘500, possedeva libri miniati e favorì una bottega di miniatura a Monopoli; poi il Seminario che dura tutt’ora, la Biblioteca Civica Marangelli la cui istituzione, nonostante i forti contrasti, fu approvata all’unanimità nel consiglio comunale. E poi le tante e preziose biblioteche sparse nelle case della città. Questo, dunque, non è mai accaduto per caso. È che nella città storicamente è stata ritenuta imprescindibile la saldatura della cultura con la politica e le diverse declinazioni della società. E poi perché mai come in questi momenti gli strumenti della cultura, che sono libri e “carte” (archivi), spesso sottratti all’inesorabile perdita, sono fondamentali per creare “luoghi” dove si fa “comunità”; dove ci si possa riunire e confrontare per battere sia il cancro della contemporaneità: l’individualismo, che l’idea che ciascuno possa fare per sé; una visione che la drammatica situazione che stiamo vivendo presto mostrerà quanto sia effimera. Non a caso la Fondazione, sostenuta dal Comune nelle diverse (se non contrapposte!) composizioni politiche, ha elaborato il progetto “I Granai del sapere”, attraverso la Community Library che ormai può ritenersi in dirittura di arrivo».
Che cosa vuol essere «Abitare il futuro»?
«E’ una dettagliata narrazione del lavoro, di una parte, del lavoro della Fondazione in questi ultimi venti anni, nel quale accanto a me ci sono stati in tanti, Rocco Murro, Sabino De Nigris, Filippo Giannuzzi, Maria Giovanna Volpe e poi tanti, ma tanti giovani che credo, a me sia riuscito di contaminare della medesima passione. Penso alla fatica anche fisica di trasportare carte, fascicoli, libri e tanto altro cui ciascuno di noi si è sobbarcato: e che nessuno, o quasi, conosce. È utile quella lettura, perché i fatti, le circostanze non sempre favorevoli, non possono restare sepolti nei segreti di ciascuno. Al pari di quella Biblioteca e quell’Archivio storico, che ormai hanno rilievo ultra-regionale, e al Premio nazionale di ricerca Di Vagno, essi vanno conosciuti».
Questo lavoro vorrebbe avere un altro significato: difendere i valori della cultura, perché solo attraverso la conoscenza storica del nostro passato (si pensi alla grande funzione degli Archivi che la Fondazione Di Vagno sta portando alla fruizione più ampia) è possibile condividere il bisogno di costruire un futuro che si affida al dialogo.
«Condivido. In realtà sono molto preoccupato nell’assistere ad un protagonismo esasperato che immagina di trarre vantaggio addirittura dal peggioramento della situazione generale (ad ogni livello): costoro ignorano o fingono di non sapere, che quella è la via solo della barbarie. La nostra storia sta lì a segnalarci che quando c’è stata coesione politica e sociale abbiamo costruito cose buone: dopo la sconfitta della guerra e la lotta partigiana avemmo la democrazia e la repubblica. Con il massimo della coesione possibile fu sconfitto il terrorismo. Siamo riusciti, in qualche modo, anche a fronteggiare la crisi finanziaria mondiale del 2007-2008. Quando non si riuscì a far fronte alla rabbia sociale che generò da una guerra che pure avevamo vinto (la Prima guerra mondiale), quando le forze che pure erano maggioranza nel Paese e nel Parlamento non riuscirono a trovare coesione, avemmo il ventennio fascista, cioè la barbarie».
Per questo sono importanti le comunità di persone, le Community Library dietro le quali c’è il lavoro di tanti: non solo dei dirigenti, ma di archivisti, catalogatori, tecnici informatici, ricercatori (si pensi al Premio nazionale Di Vagno) che pensano che questo possa essere il loro futuro di lavoro e ai quali vanno assicurate risposte concrete e prospettive future. Appunto, va consentito di «Abitare il futuro!».