Intervista a Gino Locaputo, artista poeta e grande amico
Conversano – Ci eravamo ripromessi di rendere pubblica una nostra conversazione. Più che un’intervista, una chiacchierata libera all’insegna di ricordi che hanno lasciato segni nella nostra comunità. Gino Locaputo, da qualche anno, vive a Collepasso, nel Salento. Sessantacinque anni, è stato sottufficiale dell’Areonautica e artista, scrittore, poeta, attore. E soprattutto animatore, organizzatore e direttore artistico del Festival del Mediterraneo che sancì l’incontro tra artisti e culture diverse quando lo scambio di visioni era considerato una ricchezza da coltivare e non un problema da debellare. Conversano divenne allora luogo di scambio tra il mondo arabo e il Mezzogiorno d’Italia.
Ci scambiamo lunghe telefonate con Gino, piacevoli. Un tono pacato, un leone che continua a ruggire con le parole ma che si è fatto docile ed evita le fratture, le divisioni che una volta lo caratterizzavano. E la sua memoria intatta con tanto di dettagli.
Un artista con tutte le sue peculiarità: pieno di energia e allo stesso tempo capace di slanci affettuosi. Colmo di rabbia e, nello stesso tempo, capace di lunghi sorrisi e abbracci. Questo è stato Gino Locaputo nei primi suoi sessanta anni di vita prima del ‘buen retiro’ a Collepasso con la promessa, però, di tornare quanto prima. Alle tecnologie il buon Gino ha cercato di aggrapparsi. Watsapp, qualche posta elettronica ma, nella nostra telefonata di qualche giorno fa, la confessione che continua a preferire la penna, il foglio e la fantasia.
Ciao Gino, la foto che ti ritrae con Fabrizio De André è l’immagine della felicità. La tua perché ti fu data la possibilità di incontrarlo per la consegna del premio Festival Mediterraneo. La sua che ti ripagò con un sorriso ed un abbraccio. Sono passati vent’anni dalla sua morte. Come fu per te quel momento?
Fu un momento molto bello perché avevo incontrato un uomo dalla semplicità disarmante, poeta indimenticabile dal quale ho capito che stavo facendo delle cose molto importanti per Conversano, per la Puglia e per l’intera umanità. Ero orgoglioso, come conversanese, della possibilità di condividere con lui pensieri comuni. Si soffermò con me a parlare di Mediterraneo e del suo ultimo lavoro, “Crueza de mä”, che aveva composto con l’artista Mauro Pagani. Fu proprio quest’ultimo, mago delle sonorità mediterranee, che mi fece da tramite. L’anno prima era stato ospite del Festival Mediterraneo, lo ricordo ancora come se fosse oggi. Eseguì da solo un concerto con il suo bouzouki, poi la serata si concluse nel centro Antigone fondato da Vito Bonasora, Piero d’Argento e altri amici. A lui devo quel bel momento.
Che ne pensi dell’iniziativa “Faber amico fragile” organizzata dalle associazioni e scuole di Conversano su impulso dell’Amministrazione comunale?
Penso che sia un momento lodevole, è un tentativo meraviglioso di ridare dignità culturale alla città di Conversano, una città che continua a contraddistinguersi sul piano della cultura proponendo progetti importanti. In un certo qual modo Fabrizio De André, attraverso me, ci appartiene. Conosceva Conversano ma, ahi noi, una brutta malattia lo ha tenuto lontano. Indiscutibilmente appartiene alla storia del Festival Mediterraneo, un progetto umano che lui ha condiviso. Conservo ancora una lettera con la quale l’affettuosa Dori Ghezzi si scusava per non poter essere con noi a Conversano al ritiro dell’importante Premio Mediterraneo.
L’impressione che ci dai è quella di un artista che ha scelto di vivere l’esilio, lontano dal suo paese, anche se non troppo. Non vorrei sembrare invadente ma mi incuriosisce questa tua scelta. Ti va di parlarcene?
Ognuno di noi ha il suo destino, un qualcosa che lo porta a viver altrove, in altre città; ma ovunque sarò porterò sempre nel cuore il mio bel paese. É dentro di me l’odore del basilico, il profumo della varichina dei nostri lastricati lavati dalle donne. Porterò con me questo rapporto con Conversano, sempre orgoglioso di essere nato lì. Ho già dato indicazioni. Tornerò in quella terra dove io sono nato e dove vorrò tornare per riposare per sempre. Dovete sapere che anche se non sono fisicamente lì, ogni giorno continuo a guardare l’orizzonte da sopra Largo della Corte. Continuo a scrivere e a pensare in dialetto. Non mi considero in esilio, sono ospite di un’altra grade terra, il Salento precisamente a Collepasso, dove vivo un altro importante momento della mia vita.
Stai continuando a scriver poesie? Ce ne reciti, scrivendocela, una delle ultime?
Sto continuando a scrivere poesia e prosa e tutto ciò che ricorda la mia vita. A tale proposito voglio dirti che tra qualche mese uscirà un libro che racconta molto della nostra esperienza Mediterranea. Un lavoro che sto scrivendo a quattro mani con un’altra conversanese, Maria Sportelli. E parlando di ricordi ed emozioni vi dedico una delle mie preferite: Chedd Fenestr. Versi che raccolgono l’incanto di un piccolo poeta conversanese che non vi lascerà mai.
Quanto ti manca fisicamente la tua città che hai sempre cercato di definire l’Atene delle Puglie? Perché Conversano è l’Atene delle Puglie?
Questo distico l’ho ripreso da un altro grande uomo che lo amava dire perché lo pensava. Parlo di Giovanni Pascoli, commissario d’esame presso il Liceo Classico. Fu lui a definire la nostra città l’Atene delle Puglie, poiché alla fine dell’800 aveva scuole che per altri paesi erano inarrivabili. Per me, realmente, Conversano è l’Atene di Puglia. Certo, oggi ha perso il suo splendore, ma tornerà sicuramente ad esserlo e questo appellativo potrà essere determinante come un tempo. Non dobbiamo dimenticare che Conversano è stata la Città della Pace, come venne definita e sancita da Vito Bonasora sindaco; e per 25 anni è stata la città del Mediterraneo. Un giorno, finalmente, si andrà oltre le citazioni e potrà essere l’Atene di Puglia.
Il Mediterraneo è diventato un luogo di morte, un luogo triste, dove alcuni uomini decidono che altri devono morire. Tu l’hai vissuto con intensità con i tuoi viaggi in Palestina e nel Medio Oriente. Qual è la differenza sostanziale tra la politica estera italiana di allora e quella attuale?
Il Grande Mare Bianco come lo chiamavano i fenici e come lo chiamano gli arabi è la culla della civiltà. Oggi la diversità sta in questo: la politica come la cultura è fatta da uomini e le idee camminano con gli uomini. Non mi va di parlare di coloro che sono stati d’immenso spessore e valore culturale rispetto alla pochezza degli uomini di oggi. Sostanzialmente viviamo un momento molto basso perché sono gli uomini ad esserne gli artefici. Ammetto con sincerità che non so chi sia l’attuale Ministro degli Esteri visto che fa tutto Salvini. Ma la colpa non è sua ma di chi continua a sostenerlo e ad ascoltarlo in virtù di un potere che si vuole cambiare. Quando a muovere queste fila sono dei mediocri, la mediocrità supera qualsiasi tipo di velleità
Nella tua vita hai avuto un incontro con Arafat, il leader dell’OLP della Palestina. Che ricordo hai di quell’incontro?
Un ricordo indelebile, un uomo che è diventato un simbolo per l’umanità; è un simbolo di libertà che ha lottato e ha creduto fino alla fine nella libertà del suo popolo. Una persona straordinaria che ha rappresentato per la Palestina un sogno che si è infranto con la sua morte. Sicuramente una figura irripetibile. Ricordo le sue parole più belle: Grazie per la tua Intifada, perché definiva il Festival Mediterraneo così: Intifada.
Gino, “cultura”. Una parola abusata da sempre e che ci siamo sempre sentiti dire. Ma che diavolo è la cultura che fa così paura a tutti?
In senso etimologico cultura significa coltivare. Penso a quello che ha sempre chiesto Ernesto Che Guevara: voleva dare cultura al suo popolo perché cultura significava dare la possibilità a tutti di capire. Oggi c’è poco da capire, c’è poco da fare. Cultura è libertà. Una libertà che non abbiamo più, anche la libertà di riderci addosso come facevamo attraverso le pagine de “il Bel Paese”, stampato con il ciclostile che ci prestava il buon Guido Lorusso del Centro regionale di servizi educativi e culturali. Libertà con la quale abbiamo sfidato i grandi colossi, le istituzioni riportandoli a dimensioni umane. É la capacità di stupirsi davanti ad un filo d’erba che si muove al vento, di considerarsi bambini fragili, così come avete definito De Andrè. Fragile e nello stesso tempo vulnerabile. Lui, poeta dell’anima, si sentiva un eterno bambino. E con la sua poesia ci ha insegnato la bellezza della semplicità e il senso della libertà, ricordandoci nei suoi versi di continuare a stupirci, di continuare ad amare con le parole e nei fatti l’altra gente
Il mecenatismo. Pensi che si possa tornare al principe che chiama a corte artisti e creativi per raccontare realtà spirituali e materiali? Paesaggi e orizzonti marini?
Il principe potrebbe essere un uomo che conta. Sindaci, assessori che devono proporre agli altri tutti gli artisti, perché chiunque è artista per ciò che sa fare. Penso all’Arte come artigianato. Per questa ragione, chiunque abbraccia questa branca dell’arte merita rispetto. Siamo dunque tutti artisti e chi conta deve mettere in condizioni tutti, ma proprio tutti, di esprimersi quali siamo, perché nasciamo tutti artisti.
Mi mancano le nostre chiacchierate notturne, nella tua 127 Fiat, sui nostri progetti e con i nostri comuni amici. Minguccio Malena con le sue foto immediate a suggello di ogni tipo di incontro, Andrea La Selva con il suo amarcord e la sua memoria pazzesca, Franco Fanizzi sempre convinto di essere stato lui il regista della nostra opera “Poveri Noi” andata in scena nel 1980. Gino, quanto ci manca il salotto e quanto sarebbe utile un salotto di discussione colta e di sfottò in questo momento?
Credo che il salotto culturale ci farebbe tornar ad essere tutti un po’ più umili e a sentirci cittadini di questa Atene delle Puglie che è Conversano. Spero di rientrare con voi in questo salotto con gli amici comuni. Come non ricordare Minguccio Malena che guardava il famoso striscione del Festival. Ogni anno lo appendevo in Largo della Corte: ritraeva il mio volto abbracciato simbolicamente dalla cupola di San Benedetto e da quella di Gerusalemme; lo inorgogliva come anche me perché segnava l’avvio della manifestazione; la disponibilità di Vito Fanizzi e perdonate se dimentico qualcuno. Ci metterei anche Enzo Marzionne, Franco Fanizzi … è bene spiegare a tutti che la regia di Poveri Noi fu di gruppo, come la stesura del testo. Eravamo una comunità che camminava insieme seguendo la stessa direzione, il bene comune. Abbiamo creduto in un caleidoscopio di vita locale, abbiamo regolato un sorriso, un pezzo di storia che è bene non dimenticare. Quel salotto sarebbe auspicabile perché dovremmo tornare a sorridere, almeno ad essere meno seri o più allegri. Di questo ha bisogno la città per tornare ad essere ciò che è sempre stata.
Ciao Gino, ti vogliamo bene…
Vi voglio tanto bene anch’io e mando un bacio immenso a tutta la città e a tutte le persone che mi vogliono bene. Anch’io voglio bene a tutti e questo è un ritorno reale nella mia città dove io ci sarò sempre. Grazie per questa intervista, ci vedremo presto. Promesso.