Intervista ad Angelo Iudice, conversanese d’origine e britannico d’adozione

Intervista al conversanese Angelo Iudice che ci racconta dei suoi lunghi anni nel Regno Unito, delle sue esperienze e del suo percorso professionale

Conversano – Amara terra mia, cantava Modugno nei primi anni Settanta. Un inno alla nostalgia, alla memoria e a quella terra madre che in circostanze avverse ci costringe a partire per nuovi mondi che, accogliendoci, diventano a loro volta nuove case e nuove madri. Così è stato per il concittadino Angelo Iudice che molti anni fa ha lasciato Conversano per la nordica Londra dove, non senza difficoltà e sacrifici, ha costruito la sua vita, la sua identità e la sua carriera.

Da quanti anni vivi a Londra e perché hai lasciato Conversano?
Direi che ho trascorso molti più anni a Londra che a Conversano – la città che non ho mai smesso di amare. Avevo appena 18 anni quando decisi di partire oltremanica, avvertii la necessità di re-inventarmi lontano dalle condizioni familiari e culturali impostemi all’epoca. Un po’ la ragione per la quale molti giovani conversanesi oggi hanno formato una bellissima colonia a Londra.

Qual è stato il tuo percorso formativo e professionale?
È stato un percorso piuttosto tortuoso, forse tipico di una persona in cerca di una identità propria. Inizialmente ho perseguito numerosi lavori umili, culminati con un appointment per direttore delle risorse umane – avevo 28 anni. Purtroppo non sono mai stato bravo con budget e schede assurde di excel, quindi colsi la crisi economica del 1993 per ricominciare, ancora una volta, daccapo, tornando sui banchi di scuola. Ho così conseguito una laurea in Psicologia presso la University of London. Da quasi vent’anni sono ricercatore presso un dipartimento del governo britannico.

Londra è una città multi sfaccettata dalle notevoli possibilità. Senti di aver raggiunto un traguardo o sei sempre aperto al cambiamento?
Traguardo? Penso che per me non ci siano traguardi, solo punti di partenza che mi consentono di incontrare persone e situazioni positive. È importante essere aperti ai cambiamenti, oggi tutto sembra essere in fase di evoluzione rapida. Il mondo del lavoro, le modalità di lavoro sono in continuo cambiamento. Essere aperti ai cambiamenti ti consente di sopravvivere in un mondo diventato altamente competitivo.

Accademia Apulia organizzazione no profit: un fiore all’occhiello che il 2 giugno 2015 ti è valso il titolo di Cavaliere dell’Ordine della Stella. Cosa ti ha spinto a fondarla e come si è evoluta nel tempo?
Accademia Apulia è nata dal bisogno di offrire ai miei conterranei quanto non fu disponibile per me quando sbarcai in Inghilterra per la prima volta, cioè un punto di riferimento. Quando si è soli in grandi metropoli fare network – aiutarsi reciprocamente – è fondamentale. Era così anche ai tempi dei nostri predecessori emigrati, per esempio in “Lamerica”, avere un punto di riferimento allora rinforzava il detto “chi trova un amico trova un tesoro”.
Youmanity (ex Accademia Apulia) è in procinto di essere iscritta al Charity Commission del Regno Unito come NGO impegnata nel processo di inclusione e giustizia sociale. Per esempio, l’attuale edizione del concorso annuale di fotografia, The Everyday Heroine, accende un riflettore sulla discriminazione di genere. Ottanta fotografie selezionate dal concorso formeranno una mostra che aprirà a Londra durante il mese dedicato alla sensibilizzazione del cancro al seno (Breast Cancer Awareness Month), ottobre 2017.
Ogni progetto è interamente organizzato da volontari (molti di essi di Conversano). La comunicazione è gestita dai ragazzi di Brainpull.

In cosa dovrebbe migliorare secondo te la Puglia, e più in generale l’Italia, per evitare fughe all’estero?
La Puglia è migliorata notevolmente e Conversano è una città di grande esempio per il resto dell’Italia. Forse il problema principale è la filosofia dello “sfacelo” che vige un po’ ovunque, cioè il cittadino non si accontenta mai. Fa polemica su tutto e tutti. Occorrerebbero più cittadini capaci di  rimboccarsi le maniche.
Un suggerimento costruttivo sarebbe quello di dare ai giovani la possibilità di crescere da soli, cioè senza l’interferenza di genitori che sentono di dovere proteggere “bambini” di trent’anni. Preparare invece i giovani al dialogo, prepararli a vincere ma anche a perdere nella vita.
La “fuga all’estero” è un fenomeno inevitabile. I giovani talentuosi ambiscono ad esperienze personali e professionali che li portano a vivere nelle capitali mondiali. Avere sul proprio CV un’esperienza lavorativa all’estero, poter parlare inglese è ormai d’obbligo. Forse la domanda da porsi sarebbe “Cosa possiamo fare per incentivare i giovani a ritornare a casa?”. Se questi grandi talenti potessero rientrare, quindi operare sul territorio con il bagaglio dell’esperienza maturata all’estero, non potrebbe che beneficiarne l’economia del Paese.

La tua esperienza di vita e lavoro a Londra ti ha ripagato e riscattato?
Abbastanza. Ogni giorno è una lezione, un’esperienza irripetibile, buona o brutta che sia.

Hai vissuto più nel Regno Unito che a Conversano. Ti senti un cittadino britannico o italiano?
Mi sento “Britaliano”. Ammetto comunque che a Londra cerco avidamente una notizia dell’Italia/dall’Italia nei quotidiani.

Qual è il tuo rapporto con Conversano oggi?
Le persone care che purtroppo ho perso vivono attraverso l’affetto che nutro nei confronti dei tanti amici di Conversano, quindi visito luoghi e persone spesso e volentieri.

Se dovessi immaginare la tua vita tra dieci anni, dove ti collocheresti?
Bella domanda. Trovo difficile la risposta. La mia vita sarà senz’altro collocata o collegata con un luogo vicino al mare.

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